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Milizie, gruppi armati e jihadisti. L’intreccio della lunga guerra in Congo

a cura di in data 31 Gennaio 2023 – 08:32Nessun commento

FOTO AP

Domani, 31 gennaio 2023,
di Mario Giro (politologo)

CONFLITTI LOCALI

Nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc) la guerra continua fin dalla metà degli anni Novanta. Si tratta di uno dei conflitti più longevi del continente, in cui si intrecciano tante sotto-guerre locali con i protagonisti più diversi – milizie, autodifese, gruppi armati etnici, jihadisti ecc. – ognuno dei quali provvisto dei propri agganci internazionali o con le reti criminali globali. Una delle milizie più forti è l’M23 (dal 23 marzo, giorno di un vecchio accordo del 2009 che il gruppo denuncia di non essere mai stato implementato): una formazione in difesa dei tutsi locali, sia i banyamulenge presenti da almeno due secoli nell’area congolese, che quelli sospinti in zona dalle alterne e complesse vicissitudini della regione orientale. L’M23 era stato sconfitto nel 2013 ed i suoi resti erano riparati in Uganda.

L’iniziativa del Ruanda
L’attuale reviviscenza dimostra che la convivenza tra tutsi e altre popolazioni locali rimane ancora molto difficile: il gruppo armato giustifica le proprie azioni militari come una forma di protezione della minoranza minacciata. In realtà sono numerosi gli osservatori di cose congolesi a ritenere che si tratti di un’iniziativa autonoma del Ruanda, dove i tutsi sono al potere (anche se affermarlo è politicamente scorretto: a Kigali dopo il genocidio fare riferimento all’etnia è vietato dalla legge). Per evitare una nuova escalation di violenza in un’area già molto tormentata, alla fine del 2022 l’Angola e il Kenya avevamo mediato un cessate il fuoco tra Rdc e M23 che tuttavia pare non stia funzionando. Il presidente della Rdc, Felix Tchisekedi, denuncia l’ingerenza ruandese e punta il dito sull’intento dei ribelli di occupare nella regione orientale del paese (nord Kivu e Ituri soprattutto) le zone minerarie più ricche per sfruttarle. Alcune organizzazioni internazionali si interrogano sul perché il Ruanda esporti minerali e terre rare che non produce in casa propria, anche se il saccheggio delle risorse congolesi è da decenni opera di una moltitudine di soggetti, pubblici e privati. Per ora l’M23 si è ritirato solo da Rumangabo e parzialmente da Kibumba, alla presenza della East African Community Regional Force (Eacrf), la forza della comunità regionale est africana, l’unica in grado di riprendere il controllo delle aree smilitarizzate. All’esercito congolese viene impedito di rientrare nell’area.

Il ritiro dei ribelli
Su altri fronti i ribelli restano sulle loro posizioni. Nella stessa Kibumba le truppe dell’M23 sono rimaste parzialmente presenti in città, ritirandosi solo da alcune posizioni – come quella nota delle “tre antenne” in cui venne ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio – mantenendosi a circa 20 chilometri da Goma, la capitale regionale del Kivu nord. Secondo gli inviati dell’Onu il ritiro dei ribelli non è completo e la tabella di marcia firmata a Luanda non viene rispettata. Alcuni osservatori precisano che le forze sono state semplicemente ridistribuite, mentre combattimenti proseguono più a ovest e a nord delle loro attuali posizioni. Dal canto loro, le autorità di Kinshasa hanno ribadito che si aspettano che i militari est africani dell’Eacrf dimostrino un “reale impegno” nella lotta contro l’M23, anche se il comandante della forza multinazionale, il generale keniano Jeff Nyagah, ha affermato che la priorità resta al processo politico in corso: «Intraprenderemo un’azione militare solo se queste iniziative falliranno», ha affermato parlando coi media. Anche il presidente della Comunità dell’Africa orientale (Eac), il presidente burundese Evariste Ndayishimiye, ha più volte dichiarato che «non è necessaria un’altra guerra nella regione» dimostrando di tenere in forte considerazione le suscettibilità ruandesi.

L’M23 e Goma
Così al momento, malgrado le insistenze congolesi, le forze regionali africane non stanno conducendo alcuna operazione contro l’M23, limitandosi a monitorare il dialogo. Della crisi si è parlato anche durante il vertice Usa-Africa di dicembre scorso, con gli americani intenti a calmare le acque e a contenere l’ira di un irritato presidente congolese. Nessuno vuole che l’M23 occupi Goma ma allo stesso tempo sono in pochi a fare pressione su Kigali, considerata un polo di stabilità regionale e africana (basta pensare al ruolo dell’esercito ruandese in nord Mozambico o in Repubblica Centrafricana). Per ora l’M23 mantiene il suo impegno a dar corso alle decisioni della mediazione ma sostiene che il governo congolese deve fare la sua parte. In pratica sia Rdc che M23 si accusano a vicenda di non rispettare gli accordi di disimpegno militare sul terreno e di fine dell’ingaggio armato.

(Mario Giro)

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