L’Armenia propone la pace. Ma il Caucaso è una polveriera
Domani, 17 febbraio 2023,
di Mario Giro (politologo)
SCINTILLE IN ASIA
Iran, Russia e Turchia si sfidano attorno alla crisi armeno-azera che rischia di trasformarsi in conflitto. L’occidente non riesce ad avere voce in capitolo e Baku continua a bloccare il corridoio di Lachin.
La guerra ucraina può avere un’escalation verticale ma anche orizzontale. Quella verticale è l’attuale aumento delle armi e della loro potenza, fino al temutissimo utilizzo del nucleare. Ma l’orizzontale non è meno pericolosa: il contagio del conflitto in altre aree, come l’Africa sub sahariana (il moltiplicarsi degli interventi della Wagner), la Bosnia e il Kosovo (si è riacceso il contenzioso con la Serbia) o, infine, il Caucaso. In quest’ultimo quadrante il conflitto non accenna a spegnersi per la presenza di molte potenze che vi manovrano contemporaneamente. Iran, Russia, Turchia e occidente si sfidano attorno alla crisi armeno-azera il cui acuirsi ha fatto da detonatore a molti interessi. Un bellissimo reportage di Amberin Zaman sul Monitor descrive tale tensione vista dal microcosmo di un piccolo albergo a Goris: «Una sonnolenta località turistica nella regione di Syunik, nel sud dell’Armenia, che sembra fare da improbabile sfondo alle manovre geopolitiche tra potenze». Una tensione che però può sciogliersi nelle prossime settimane. Secondo quanto riporta Al Jazeera, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha presentato all’Azerbaigian un progetto di pace per porre fine alla decennale disputa sulla regione del Nagorno-Karabakh. L’accordo prevede anche dei meccanismi di monitoraggio da parte di entrambe le parti per prevenire eventuali violazioni della pace, a dimostrazione di quanto è instabile l’equilibrio nell’area.
Il corridoio bloccato
Nell’Hotel Mirhav, tre cottage rustici sulla linea del fronte «pieni di kilim antichi e oggetti in rame», hanno trovato rifugio dal 12 dicembre alcune famiglie armene quando l’Azerbaigian ha de facto bloccato l’accesso al Nagorno-Karabakh mediante un gruppo di “eco-attivisti” azeri che sono riusciti a scivolare attraverso le linee russe allo scopo di bloccare il corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’enclave contesa all’Armenia. Mentre Baku tace, i russi non si muovono e gli armeni lanciano accuse di tradimento. Nella restante zona del Karabakh ar- meno – ora isolata – stanno venendo a mancare latte, medicinali e altri rifornimenti vitali. Secondo le testimonianze le scuole sono state chiuse e i 120mila abitanti dell’area sono al razionamento, mentre l’Azerbaigian continua a interrompere le forniture di gas ed elettricità con effetti terribili nel freddo inverno caucasico. I leader armeni accusano l’Azerbaigian di volere la pulizia etnica della regione contesa, affamando la popolazione locale per costringerla ad andarsene. Ilham Aliev, leader azero, non smentisce. «Saranno create le condizioni per coloro che vogliono vivere sotto la bandiera dell’Azerbaigian. Come i cittadini dell’Azerbaigian, i loro diritti e la loro sicurezza saranno garantiti. Per chi non vuole diventare nostro cittadino – ha aggiunto – la strada non è chiusa, ma aperta. Possono andarsene. Possono andare da soli, o possono viaggiare con le forze di pace (russe), oppure possono andare in autobus».
Occidente a basso impatto
Le reazioni irritate dell’Unione europea e degli Stati Uniti hanno avuto finora scarso impatto. Di conseguenza il rischio di ripresa del conflitto è molto alto. Nello stesso albergo dove sono bloccati i profughi, risiede anche la missione di osservazione civile dell’Unione europea, schierata per monitorare la linea del cessate il fuoco. Con il sostegno delle armi turche e israeliane (soprattutto droni), l’Azerbaigian nel 2020 è riuscito a riprendersi tutto il territorio occupato dall’Armenia al momento della disintegrazione dell’Urss. Una delle conseguenze della vittoria azera è stato l’accorciamento del confine tra Iran e Armenia, considerato strategico per entrambi. Malgrado le differenze religiose, l’alleanza irano-armena è vitale: cercano di evitare che l’Azerbaigian crei un corridoio per collegarsi alla regione del Nakhichevan e alla Turchia. Ciò avrebbe come effetto di separare l’Iran dall’Armenia, uno dei pochi passaggi rimasti a Teheran verso i mercati occidentali. Da quando è scomparsa l’Unione sovietica tutto il Caucaso è diventato una intrigo di interessi geopolitici, luoghi di economia informale e criminale oltre che di lotte etno-nazionalistiche.
Rischio isolamento
In tale intreccio l’Armenia si è spesso appoggiata all’Iran co- me alleato. Gli iraniani vedono la creazione del “corridoio di Zangezour” voluto dagli azeri come «una catastrofe geopolitica». Da parte armena si sostiene che tenere aperto il confine con l’Iran è vitale, visto che quelli con la Turchia e l’Azerbaigian sono chiusi. Iran e Georgia sono per Erevan le uniche porte aperte verso il mondo esterno. Per ora Croce rossa internazionale e forze di pace russe fanno transitare un po’ di aiuti dentro l’enclave armena e la Ue sta per aumentare i propri osservatori. Mosca è in imbarazzo: dall’inizio della guerra in Ucraina il contenimento e la deterrenza russi sono quasi scomparsi. L’Armenia rischia di pagare la distrazione russa sul suo fronte più importante. C’è anche da dire che la stessa Europa continua ad avere due facce: a luglio ha firmato un ennesimo accordo sul gas con Baku per raddoppiare le importazioni di gas al fine di compensare la perdita di gas russo. L’unico paese a essere favorevole all’aumento degli osservatori europei è l’Iran che ha definito ogni tentativo di alterare i confini un casus belli. Se il conflitto dovesse riprendere vedrebbe coinvolta Teheran, fino a ora rimasta ferma. La Russia si troverebbe a dover scegliere tra Iran e Turchia (i suoi alleati in Siria). Lasciare l’Armenia al suo destino configura per Mosca il rischio perdere il controllo di un’intera regione sulla quale da sempre i russi pensano di avere un diritto si supervisione. Se l’Iran decidesse di difendere gli armeni, sarebbe uno scontro tra musulmani e, ancor più, tra sciiti, perché anche gli azeri lo sono in maggioranza. Da parte sua Baku può giocarsi la carta etnica: il 15 per cento degli iraniani sono di etnia azera e questo preoccupa le autorità di Teheran in tempi di contestazione. Intanto l’Azerbaigian ha inviato il suo primo ambasciatore in Israele, anche se i legami con Israele sono stretti da diversi anni. Questo fatto, così come la ventilata presenza di agenti israeliani nel paese, irrita profondamente Teheran che da tempo accusa gli azeri di offrire basi all’intelligence israeliana.
Impasse
È una delle ragioni per cui i pasdaran hanno condotto manovre militari a quei confini, mentre le autorità di Teheran continuano a ripetere che «la sicurezza dell’Armenia è la sicurezza dell’Iran». Gli armeni si dicono fiduciosi che la difesa iraniana sconsiglierà altri attacchi. C’è anche chi ricorda gli antichi legami storici tra i due paesi. Il paradosso è che ora a Erevan molti dicono – a bassa voce – che l’occidente non aiuterà l’Armenia finché rimarrà legata all’Iran, ma che soltanto quest’ultimo garantisce oggi la sua sopravvivenza. Le forniture di gas iraniano sono essenziali per un paese privo di risorse energetiche. Sembra che tutta la narrativa costruita sull’Armenia – un paese lacerato tra influenza russa e occidentale – sia da rivedere: nella dura realtà del Caucaso altre potenze stanno cercando spazio e nessuno ha tenuto in dovuto conto la posizione dell’Iran. Il commercio bilaterale tra i due paesi è aumentato del 43 per cento lo scorso anno e Erevan rimane un luogo di villeggiatura per molti iraniani (e di rifugio per russi in fuga dalla guerra). Per questo la posizione del premier armeno, Nikol Pashinyan, è doppiamente delicata: non può perdere l’appoggio occidentale ed europeo, deve tenersi buoni i russi, non può rompere totalmente con i turchi ma ha anche un disperato bisogno di Teheran. Davanti a tale rompicapo politico-diplomatico in cui ogni regola viene infranta e ci si muove alla giornata, anche i leader occidentali rimangono incerti sul da farsi. A complicare il quadro c’è addirittura l’India che si è offerta di vendere armi a buon mercato all’Armenia, principalmente perché il suo acerrimo nemico, il Pakistan, è un convinto sostenitore dell’Azerbaigian. Anche l’Iran fornisce armamenti ma lo deve fare sottobanco per non provocare le sanzioni occidentali sull’Armenia. Dal canto suo la Turchia di Erdogan cerca di riscuotere i dividendi della vittoria azera del 2020: la realizzazione del “corridoio Zangezour” aprirebbe ad Ankara la via terrestre verso la Cina, eliminando il passaggio attraverso l’Iran. Obiettivo immediato: i mercati dell’Asia centrale. I confini terrestri con l’Armenia rimangono chiusi (fatta eccezione per i cittadini di alcuni paesi terzi). Con la guerra del 2020 la Turchia si è ulteriormente radicata nel Caucaso ma eredita una situazione esplosiva. Subito dopo il conflitto pareva che turchi e russi replicassero nella regione ciò che avevano fatto in Siria: espellere gli occidentali e spartirsi le zone di influenza. Ma la presenza del terzo inco- modo iraniano e l’andamento della guerra in Ucraina hanno complicato il quadro. Qualcuno sostiene addirittura che nel Caucaso si stia saldando una nuova alleanza tra Iran e Russia, dopo le prove generali fatte in Siria.
(Mario Giro)
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