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La saldatura tra russi e jihadisti nel caso del Mali è un monito per tutti i paesi del Mediterraneo

a cura di in data 5 Luglio 2022 – 20:53Nessun commento

I partiti politici in Mali stanno cercando un’intesa con i militari per chiudere la stagione di colpi di stato in sequenza, che ha completamente destabilizzato il paese.
FOTO AP

Domani, 05 luglio 2022,
di Matteo Bressan (analista)

Cosa rischia l’Italia

I leader dell’Africa occidentale, riuniti nella capitale del Ghana per il vertice della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas), composta da ex colonie francesi a eccezione di Nigeria e Ghana hanno revocato le sanzioni economiche imposte al governo di Bamako, accusato di ostacolare la transizione politica successiva al colpo di stato del maggio del 2021. Tale esito è dovuto al calendario elettorale di 24 mesi, predisposto dalle autorità del Mali, che determinerà la transizione politica del paese. È verosimile che a determinare un cambio di postura nei confronti di Bamako siano state le preoccupazioni a Washington, ma anche a Parigi e Berlino, circa la possibilità che il Daesh possa trovare nel Nord del Mali una nuova Raqqa. Negli ultimi tre mesi i movimenti jihadisti Daesh e Al Qaeda hanno dimostrato di poter scatenare una serie di offensive, senza aspettare il ritiro, previsto per fine di agosto, delle forze francesi.

Jihadisti ovunque
Il fenomeno jihadista non riguarda più soltanto il nord del Mali ma è sempre più radicato nel Sahel, quadrante che, secondo il Global Terrorism Index 2022, vede la più alta concentrazione di sigle jihadiste al mondo. Il Benin sta ritirando le truppe dalla missione delle Nazioni unite Minunsma perché nel nord del paese, come nel nord del Togo e Costa Davorio, stanno emergendo attività jihadiste sempre più allarmanti. Il jihadismo, insieme alla prassi dei colpi di stato, compiuti nell’ultimo anno in Burkina Faso, Mali e Guinea Conakry e al sentimento anti francese che divampa nel Sahel, rendono questo quadrante post francese instabile, nonostante gli impegni militari, dal 2013 ad oggi, sia della Francia sia della comunità internazionale, quali la European Union Training Mission (Eutm) e la European Union Capacity Building Sahel Mali (Eucap). Invece di esser sradicato, il terrorismo dilaga dal nord del Mali al centro del paese che oggi rappresenta la zona a più alta cohflittualità e intensità jihadista e, contemporaneamente, dilaga in Niger e in Burkina Faso. Il fallimento dell’operazione Barkhane, forte di più di cinquemila uomini, viene accostato al ritiro occidentale da Kabul e la stampa francese parla del Mali come dell’Afghanistan francese. Il presidente francese Emmanuel Macron lavora a una exit strategy imperniata sulla G5 Sahel, composta da Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad fondata nel 2014 e dotatasi dal 2017 di una struttura militare per contrastare i gruppi jihadisti e sulla missione militare Takuba. Le due iniziative non sono in grado di conseguire i risultati sperati fino allo scorso gennaio, alla clamorosa espulsione, da parte del governo del Mali, del contingente danese di circa un centinaio di militari, sprovvisto dello Status of Force Agreement (SOFA) tra la Danimarca e il Mali. È in questo contesto che il Ministro degli Esteri francese Jean-yves Le Drian accusa “la giunta del Mali” come “illegittima” e le sue decisioni “irresponsabili”. Il Mali reagisce con l’espulsione dell’ambasciatore francese segnando il punto più basso delle relazioni tra Parigi e Bamako. Parallelamente, spostando il focus della campagna elettorale dal fallimento e ritiro dell’operazione Barkhane e agitando lo spettro della brigata di mercenari russi Wagner, così come avvenuto nel caso della Repubblica Centro Africana, dove i francesi si erano ritirati ed erano arrivati i russi, e annunciando il riposizionamento di Barkhane in Niger, Macron non lascia alcuna altra opzione al Mali, il cui 85 per cento del territorio soffre di azioni jihadiste, che trovare un altro partner che possa sostenerlo nel contrasto al terrorismo.

Avanza Putin
Il campo libero lasciato da Parigi viene sfruttato dai russi i quali, forti di un trattato di cooperazione militare firmata con il governo del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, iniziano a dispiegare sin dal dicembre del 2021 uomini, istruttori, operativi della Wagner, piloti elicotteri, aerei e mezzi da trasporto blindati. L’arrivo dei russi si contraddistingue sin da subito con l’emergere di uccisioni sommarie in occasione dell’offensiva condotta congiuntamente con le forze armate del Mali contro la città di Moura, alle fine di marzo, dove vengono uccisi 209 guerriglieri del Katiba Macina e diversi civili. Il vero problema della presenza russa in un territorio dove il jihadismo dilaga è che i jihadisti sfruttano le dinamiche di marginalizzazione dei diversi gruppi etnici convincendo questi gruppi che la guerriglia rappresenti la migliore difesa dei loro interessi di fronte ai governi centrali. I russi, adottando dei metodi che fanno poca differenza tra guerriglieri jihadisti e i civili che li ospitano non potranno che aumentare questa identificazione. Così, se il contributo russo potrà aiutare il governo di Bamako a vincere qualche battaglia, inevitabilmente gli farà perdere la guerra.

I pericoli per l’Italia
Se la Russia riuscisse ad estendere ulteriormente la propria presenza nel Sahel, grande bacino da cui anche a causa della instabilità prodotta dal jihadismo partono i flussi migratori e trovano in Libia una piattaforma di lancio verso le coste italiane, Mosca avrebbe a disposizione uno strumento di massima efficacia per ricattare i paesi europei, Italia inclusa Una strategia a costo zero, quella di utilizzare i rubinetti della minaccia dei flussi migratori illegali che, come già fatto dalla Turchia nell’Egeo, ha dimostrato di essere un efficace strumento di pressione politica sui governi europei. A marzo, a fronte di un’apertura improvvisa dei flussi migratorie il Marocco è riuscito a determinare una radicale inversione di rotta della politica spagnola nei confronti della Sahara occidentale e della causa indipendentista dei Saharawi. Ciò ha determinato la rottura dei rapporti tra Algeria, sostenitrice dei Saharawi, e la Spagna, proprio nel momento in cui stava esplodendo la crisi del gas in Europa e con l’Algeria principale fornitore di gas per l’Europa.

(Matteo Bressan)

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