Il diritto internazionale contro la soluzione finale di Netanyahu
Critica sociale, dicembre 2024
di Giorgio Pagano
La tragedia in Medio Oriente sembra non avere fine.
Netanyahu vuole non solo sradicare Hamas: vuole in realtà risolvere definitivamente la questione palestinese, a Gaza come in Cisgiordania.
A Gaza le vittime sono – sto scrivendo a inizio ottobre – oltre 40.000, di cui 16.000 bambini. Il “Lancet”, rivista settimanale britannica di medicina generale, forse la più autorevole al mondo, ha dedicato un articolo al calcolo delle vittime della guerra di Gaza. I risultati di questa indagine, rigorosa e documentata, sono eclatanti: i morti sarebbero 186.000.
Genocidio o crimini di guerra, cambia poco. Pensiamo agli orfani che si aggirano tra le rovine, al mezzo milione di persone che stanno morendo di fame e malattie per via dei blocchi degli aiuti umanitari. Tutto è distrutto: le case, gli ospedali, le scuole e le università. Per Israele i gazawi devono errare per l’eternità, e i giovani gazawi non devono aver alcun futuro.
In Cisgiordania è sempre più apartheid. Ero a Ramallah nel 2019, quando Israele ha inaugurato la strada 4370 che collega Gerusalemme alle colonie israeliane nella Cisgiordania meridionale. Lungo l’autostrada è stato costruito un muro per separare le fila di automobili: da una parte gli israeliani, dall’altra i palestinesi. E’ “la strada dell’apartheid”, un vero simbolo. Dopo il 7 ottobre “gli edifici dei coloni crescono come funghi”, mi scrivono amici palestinesi. “I miei figli – aggiunge uno di loro – mi chiedono perché i figli dei coloni hanno scuole, case, giochi migliori, non so cosa rispondere”. Chi protesta è “un terrorista”. Le torture inferte ai detenuti delle carceri israeliane sono state immortalate da diversi video girati dagli stessi soldati dell’Idf, l’esercito di Israele, e girano nella rete. Non c’è nessuna vergogna nel violare i codici morali che pure Israele aveva. Quella a cui assistiamo non è “la guerra tecnologica contro la ferocia”, è una guerra feroce quanto quella di Hamas. Altro che superiorità dell’Occidente!
Netanyahu non vuole solo sradicare Hezbollah: vuole in realtà imporre una dominazione totale sul Libano per controllare il suo territorio dal confine al Litani.
Ora sembra essere giunto il momento dell’attacco all’Iran.
Israele non concepisce che un solo mezzo: il ricorso alla forza, senza alcun limite. Nessun interesse reale a liberare gli ostaggi, rifiuto totale di ogni proposta di tregua, a Gaza come in Libano. Ma l’establishment israeliano pensa che l’Israele del futuro possa vivere in sicurezza schiacciando tutti sotto un tallone di ferro? Possibile che le lezioni del passato non servano a nulla?
Jean-Paul Chagnollaud, presidente dell’Istituto di Ricerca e Studio Méditerranée Moyen-Orient, lo ha ricordato su “Le Monde”:
“Il primo maggio 2003, sulla portaerei Abraham-Lincoln, George W. Bush annunziava con enfasi la vittoria dell’esercito americano in Iraq nell’operazione ‘Libertà dell’Iraq’. Poco tempo dopo il paese affondava in una tragedia senza fine da cui non si è ancora veramente risollevato. Venti anni più tardi, il 19 ottobre 2023, Joe Biden, conscio dello stato d’animo del primo ministro israeliano dopo gli odiosi massacri del 7 ottobre perpetrati da Hamas e pensando al disastro iracheno, gli rivolge questo avvertimento, in occasione di una conferenza stampa a Tel Aviv: ‘Non fate gli stessi errori che abbiamo fatto noi’. Come rapito dalla vertigine del potere conferitogli dalla sua onnipotenza su un potente esercito, Benyamin Netanyahu non lo ha sentito”.
La memoria che va più lontano nel tempo ci spiega che musulmani ed ebrei, così come i cristiani, hanno vissuto insieme in Palestina prima della fondazione di Israele, nel 1948. E ancora meglio, prima dell’arrivo del sionismo, in terre come il Nord Africa o l’Iraq.
La memoria delle recenti vicende in Iraq, ma anche in Afghanistan, ci dimostra che non basta la forza per aver ragione del terrorismo. Hanno perso gli iracheni e gli afghani, ma anche – politicamente e con tante vittime – gli americani. Hanno vinto solo coloro che nelle guerre vincono sempre: il complesso militare-industriale, l’industria bellica che in tanti anni di guerra ha visto raddoppiare i propri profitti.
Israele stesso ha commesso errori simili, proprio in Libano. La prima invasione, nel 1982, favorì la nascita di Hezbollah. La seconda invasione, nel 2006, ne rafforzò la presa sullo Stato libanese.
A un anno dal 7 ottobre verifichiamo che è accaduto quanto si temeva.
Nulla può giustificare l’operato di Hamas: l’uccisione di 1.200 civili, che non ha risparmiato bambini, donne e anziani, e il rapimento di 251 ostaggi, in larga parte civili.
E’ vero che il 7 ottobre 2023 non è l’inizio. Segna semmai la fase terminale di decenni di crisi profonda: l’occupazione, la colonizzazione, l’apartheid. Crisi profonda che la comunità internazionale non ha affrontato. Ma ciò non giustifica quanto Hamas ha compiuto.
Così come l’operato di Hamas non giustifica la criminale reazione di Israele a Gaza.
Anche Hezbollah va biasimato, ma la risposta non può essere l’invasione del Libano.
Vale anche per l’Iran. In tutti i casi la risposta deve essere la diplomazia, il negoziato, la ricerca della pace.
Di fronte alla forza dei signori della guerra del nostro tempo, e ai servi che sempre li giustificano, non resta, a noi cittadini, che una strada: dire, scrivere, manifestare, suscitare un moto definitivo di ripudio della guerra. Ripudiare, come recita l’art. 11 della Costituzione. Chiedere alla politica di dire e di fare. Non con qualche riga ipocrita in un comunicato, ma con un moto di ripudio.
La Corte Costituzionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione da parte di Israele delle terre palestinesi al di fuori dei confini del 1967, prima della guerra del giugno 1967, è illegale. L’Assemblea generale dell’ONU ha invitato Israele a ritirarsi dai territori occupati. Israele ha reagito dichiarando il presidente dell’ONU persona non grata. In questo modo si è posta al di fuori del diritto internazionale. Ma bisogna reagire, fare. Se il potere militare USA non sostenesse Israele, se l’Europa facesse lo stesso, se tutti facessero pressioni, Israele si ritroverebbe isolato e le cose cambierebbero.
I due Stati diventerebbero possibili. All’inizio avranno magari i confini fortificati, presidiati dalla comunità internazionale. Ma intanto ci sarà la pace, e la convivenza potrà soltanto migliorare.
Tutto questo accadrà se anche i civili israeliani e palestinesi faranno la loro parte, riconoscendo ciascuno il dolore e la sofferenza dell’altro. La via d’uscita è nelle mani di chi diserta e rompe la spirale dell’odio, da ambo le parti, nel nome della cultura del dialogo e dell’incontro.
Abbiamo bisogno sia del “pacifismo istituzionale”, che confida nel diritto e nelle regole, sia del “pacifismo morale”, che confida nel miglioramento della natura umana e nell’assunzione di responsabilità, perché ciascuno faccia, in qualunque situazione, la propria parte.
Giorgio Pagano
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