Sao Tomè, bellissima e poverissima
Città della Spezia, 28 giugno 2015 – Nell’unico romanzo ambientato a Sao Tomé -“Equatore” dello scrittore portoghese Miguel Sousa Tavares- il Governatore dell’isola, allora colonia portoghese, Luis Bernardo Valença dice a David Jameson, il nuovo console del Governo inglese, appena sbarcato: “Le isole sono bellissime, le spiagge meravigliose, e la selva è un’esperienza straordinaria. Quaggiù manca il mondo, almeno quel mondo che conosciamo in Europa, o nei Paesi civilizzati. Esiste però la purezza di un mondo primitivo, iniziale, allo stato bruto”. Il libro è del 2003, ma è ambientato nel 1906. Rispetto ad allora la situazione è certamente cambiata: le isole sono ancora bellissime, ma sono arrivato in aereo, prima di trasferirmi a Neves ho dormito una notte nella capitale, in una pensione spartana ma con la connessione wi-fi, e il mattino dopo ho subito notato che, in mezzo alle caratteristiche case bianche in stile coloniale, hanno costruito un enorme distributore di benzina, e che è in costruzione un grande supermercato (naturalmente ad opera dei cinesi). Il “mondo che conosciamo in Europa” e non solo, quello globalizzato, è quindi arrivato. Ma non è scomparso il “mondo primitivo”, sia naturale che sociale. Nel romanzo il Governatore vuole visitare una capanna abitata dai lavoratori delle piantagioni. Ecco il suo racconto: “Il caldo e la puzza dentro la capanna erano soffocanti. Un odore sgradevole di farina bruciata, di foresta e di sporcizia, tutto avvolto in una nuvola di fumo che si alzava dal pavimento in terra battuta, dove ardevano alcuni ceppi con sopra una pentola di coccio. L’aria era quasi irrespirabile, nauseante e rarefatta…”. Io non sono ancora entrato in una delle baracche di legno che costituiscono tutto il tessuto abitativo di Neves, di Santa Catarina e degli altri nuclei del Distretto di Lembà, tra i più poveri dell’isola: ma le ho viste, e la sensazione è che ben poco sia cambiato rispetto a un secolo fa. Le baracche sono senza acqua, luce e gas, non c’è alcuna rete fognaria e nemmeno la latrina: la vita giornaliera trascorre tutta fuori casa, al lavoro o sulla strada; i panni si lavano nei fiumi e si fanno asciugare distesi sule pietre della riva; i bisogni si fanno nei campi o in spiaggia. Per fortuna i saotomensi non soffrono la fame -non l’hanno mai sofferta- perché la natura è estremamente generosa di pesce e di frutta.
Sono a Sao Tomè e Principe -così si chiama il piccolo Stato composto dalle due isole principali, situate a circa 300 chilometri dalla costa occidentale del continente africano, nella linea dell’Equatore (quindi “no centro do mundo”)- per contribuire all’elaborazione del Piano Distrettuale Integrato di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo del Distretto di Lembà e delle Linee Direttrici del Piano di Ordinamento Territoriale di Neves, capoluogo del Distretto. Insomma, il Piano Strategico e il Piano Urbanistico, per tradurre nel nostro linguaggio. Si tratta di un progetto dell’Unione europea; il bando è stato vinto dalla Ong Alisei -presente nell’isola da quasi trent’anni- in partnership con l’associazione Funzionari senza Frontiere, che presiedo: è l’associazione che riunisce i funzionari pubblici italiani impegnati nel sostegno al decentramento amministrativo in Africa e nell’accompagnamento dei nostri colleghi africani. La nostra “equipa”, già molto affiatata, è composta da cinque persone: oltre a me ci sono Claudio Rissicini, sarzanese, con una lunga esperienza di cooperante nei Paesi di lingua portoghese, dal Mozambico al Brasile, lo spagnolo Pol Fontanet e i saotomensi Litoney Natos e Candido Rodriguez. Abbiamo già cominciato il lavoro di “diagnosi”: la raccolta di tutti i dati demografici, economici, sociali, ambientali necessari per l’elaborazione dei due Piani. L’abbiamo fatto coinvolgendo le istituzioni, dalla Camara Distrital -l’organismo locale decentrato- a tutti i Ministeri interessati, fino al Parco Naturale di Obò; e le associazioni della società civile. I due Piani devono essere infatti, fin dall’inizio, partecipati, e improntati al dialogo politico e sociale. Proseguiremo nei prossimi mesi, sulla base della “diagnosi”, elaborando le linee strategiche prioritarie, che saranno poi discusse in sessioni pubbliche, fino alla redazione finale.
Ma vediamo qualche dato per spiegare meglio la realtà del Paese. Quello che sorprende di più è che Sao Tomè e Principe è uno Stato estremamente dipendente dall’appoggio esterno, con l’85% del suo bilancio finanziato dai Paesi partner. Ultimamente, grazie a questo impegno, ha registrato significativi miglioramenti per quanto riguarda lo sviluppo umano: ora è al 142° posto su 187 Paesi nell’Indice di Sviluppo Umano dell’Onu, sopra la media dell’Africa subsahariana. I passi in avanti ci sono stati soprattutto nell’educazione e nella salute: l’educazione primaria raggiunge il 97% dei bambini, mentre è ancora assai limitata quella secondaria; la speranza di vita è aumentata dal 2013 al 2014 da 64,9 a 66,3 anni; sono discesi i tassi di mortalità materna e infantile, in gran parte per l’aumento delle nascite assistite da professionisti qualificati. Progressi considerevoli sono stati fatti anche nella lotta contro la malaria. Ma il Paese resta, nonostante i miglioramenti, uno Stato fragile e vulnerabile, tanto più di fronte agli effetti sia della crisi economica mondiale che di quella climatica. Ciò è tanto più vero per il Distretto di Lembà: il 20% della popolazione con età superiore ai cinque anni non sa leggere e scrivere, solamente il 2% parla una lingua straniera, sette sono le persone con formazione superiore. Il 48% della popolazione risulta inattiva, il dato femminile è del 63% (anche se il lavoro “informale”, o “nero” che dir si voglia, è molto diffuso). Il compito che abbiamo davanti è molto arduo. Se la cooperazione internazionale ha fatto molto in termini di aiuto, è evidente che la sola logica dell’aiuto non basta. Quante strutture realizzate dalla cooperazione abbiamo già visto abbandonate e degradate! Perché poi non c’è stata capacità di gestione, di manutenzione, di utilizzo. Cooperazione deve significare superamento dell’assistenzialismo, trasferimento di tecnologie ed esperienze, formazione delle persone perché cresca l’autogoverno delle persone stesse e quello degli organismi di governo locale. La nostra sfida vera non è quella di scrivere i Piani, ma di creare le condizioni perché non restino nel cassetto: ciò dipenderà dalle nuove competenze e dalla nuova voglia di partecipare che sapremo suscitare e far crescere tra amministratori, tecnici, cittadini delle isole “no centro do mundo”.
Giorgio Pagano
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