Papa Francesco e il clima come bene comune
Città della Spezia, Rubrica “Diario do centro do mundo”, 23 agosto 2015 – Tra i problemi più sentiti nel Distretto di Lembà -l’abbiamo verificato nell’incontro con i rappresentanti della società civile delle diverse comunità del Distretto, e poi nell’assemblea di pescatori e palaiè di Santa Catarina- c’è quello dell’aumento del livello del mare e dell’erosione della costa, che comporta, a Santa Catarina, l’inondazione delle case costruite vicino al mare. E poi i temi dell’erosione del suolo e delle frane, della riduzione della foresta, dei molti casi di malattie originate dalla cattiva qualità dell’acqua… Questioni, tutte, che hanno origine nei cambiamenti climatici che stanno colpendo anche Sao Tomè. Questo piccolo Paese insulare è infatti vittima delle trasformazioni del clima mondiale, che rischiano di fargli perdere più della metà delle sue infrastrutture socio-economiche e dei suoi habitat.
Anche Sao Tomè produce CO2, ma i suoi livelli di assorbimento sono superiori a quelli di emissione, grazie all’opera di “sequestro” garantita dalle foreste. Le crescenti emissioni sono dovute soprattutto all’energia, al maggior consumo di combustibili fossili (gasolio) per produrre energia elettrica, e al settore dei trasporti. Quindi, come sostiene la “Seconda Comunicaçao Nacional Sobre Mudanças Climaticas”, elaborata nel 2011 dal Ministero delle Opere Pubbliche e delle Risorse Naturali, Sao Tomè deve certamente battersi perché cambi la politica energetica e climatica dei grandi Paesi, ma anche fare la sua parte: ridurre la sua produzione di CO2, varare misure di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici in corso, evitare che alcuni comportamenti nefasti, come il taglio abusivo di alberi e l’estrazione abusiva di inerti dalle spiagge, aggravino la situazione.
Che il clima stia cambiando anche nell’isola, lo dicono i dati, e lo percepiscono tutti i saotomensi: aumentano le temperature e diminuiscono le precipitazioni. Giugno, luglio e agosto sono i mesi più miti: è il periodo secco della “gravana”, un vento fresco che soffia nel Golfo di Guinea e porta un clima mite, 25 gradi al giorno, 21 alla notte, poco sole e assenza di piogge. Quando in Italia c’è il caldo “africano”, qui in realtà si sta benissimo. Ma da settembre, solitamente, arriva il caldo-umido, con tanto sole e tante piogge. Nel 2010, invece, il periodo secco durò fino a novembre, poi venne giù il finimondo: nella regione a nord est del Paese crebbe, per l’assenza di piogge, la vegetazione tipica della savana, a scapito della foresta; poi, con le troppe piogge, ci furono inondazioni, frane e aumento del livello dell’acqua del mare con erosione costiera, allontanamento di pescatori dal loro ambiente…
Ma vediamo gli effetti dei mutamenti climatici previsti per i prossimi anni nei diversi settori della vita del Paese. L’aumento dei parassiti comporterà una riduzione delle aree coltivate e una diminuzione della produzione agricola, dal cacao alle banane, e una diminuzione del numero degli animali da allevamento. Il degrado della biodiversità dovuto alla deviazione delle correnti marittime e alla diminuzione delle acque scaricate dal fiume Niger nell’Atlantico provocherà la diminuzione dell’attività della pesca artigianale: il pesce, per l’aumento delle temperature di superficie dell’oceano, sta migrando e migrerà sempre più in aree di maggiore profondità, lontane dalla costa. Che la tendenza sia già in atto lo dimostra il triste fenomeno dei pescatori che per trovare il pesce si allontanano troppo dalla costa, perdendo le barche e spesso la vita. Nella zona costiera ci saranno abitazioni, ma anche strutture turistiche, da ricollocare, e anche molte case vicine a fiumi e torrenti andranno perdute. C’è poi la perdita degli habitat: sono a rischio i coralli marini della zona della bellissima Lagoa Azul (la spiaggia è quella della foto in alto), e le tartarughe marine che vi migrano. Il global warming comporta anche una riduzione delle falde freatiche e della portata dei fiumi, che significa meno acqua per la popolazione e per le attività dell’agricoltura e dell’allevamento, diminuzione della qualità dell’acqua, mortalità e migrazione di fauna e flora dei fiumi. Ma significa anche meno acqua per l’energia idroelettrica, che invece dovrebbe crescere in quanto energia pulita. Infine, le conseguenze sulle foreste: riduzione della “Floresta de Sombra” (Foresta d’Ombra, fotografata nella foto in basso) e della “Floresta Secondaria” in caso di secca prolungata, a vantaggio della savana (anche per la pratica di abbattimento indiscriminato degli alberi); slittamento delle terre, erosione progressiva dei suoli, riduzione del loro contenuto d’acqua… Il Distretto di Lembà è a forte rischio perché nel periodo 1980-2000 furono abbattuti molti alberi negli altri Distretti; ora i “madeireiros” (si veda, in questa rubrica, “ La foresta tropicale, regno della biodiversità”, 12 luglio 2015) hanno trasferito la loro attività proprio nelle zone di “Floresta de Sombra” e di “Floresta secondaria” dei Distretti di Lembà e di Cauè.
Il nostro Piano dovrà prevedere gli interventi necessari a contrastare e mitigare la crisi climatica. Innanzitutto il risparmio e l’efficienza energetica e le energie rinnovabili: costruzione di centrali idroelettriche, di impianti solari ed eolici e di impianti per le biomasse (residui agricoli). Poi l’introduzione delle “stufe a carbone migliorate”, fatte in ceramica con argilla locale, e dotate di un supporto metallico, per ridurre le perdite e il consumo di energia ottenuta con la madeira. Ancora: case costruite non con la madeira o con l’arena delle spiagge, ma con mattoni di argilla estratta da giacimenti locali; taxi e autocarri, e combustibili, meno inquinanti; riforestazione; costruzione di un depuratore per le acque sia domestiche che industriali; compostaggio, al posto della combustione dei residui agricoli; una nuova gestione dei rifiuti, al posto dell’immondizia gettata nei terreni incolti, in mare o nei fiumi: separazione dei rifiuti organici dai restanti rifiuti, compostaggio domestico e comunitario, un centro di separazione, riciclaggio e riutilizzo dei rifiuti solidi, una discarica controllata con recupero del biogas.
Naturalmente il nostro impegno è solo una goccia nel mare. Però, nel suo piccolo, è importante: perché non basta aspettare l’impegno dei grandi Paesi, anche se è decisivo. Per fortuna qualcosa si sta muovendo negli Stati Uniti e in Cina, i due Paesi che producono la maggior quantità di anidride carbonica che alimenta l’effetto serra: avevano fatto fallire la conferenza mondiale sul clima di Copenhagen, nel 2009, ma nel novembre scorso hanno annunciato un solenne impegno a contrastare con misure concrete il riscaldamento globale, spianando la strada a un accordo nella nuova conferenza mondiale che si terrà, a dicembre, a Parigi. Barack Obama, nelle scorse settimane, ha precisato gli strumenti con cui intende rispettarlo: il 32% di emissioni di CO2 in meno, rispetto a dieci anni fa, nel 2030; e una spinta decisa alle energie rinnovabili. Le misure sono ancora insufficienti, ma il monito di Obama è davvero fondato: “Siamo la prima generazione a subire gli effetti del cambiamento climatico, ma anche l’ultima che può fare qualcosa per salvare il pianeta”.
Ma la speranza maggiore che le cose possano cambiare ci viene dall’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, un gigante del pensiero al cui confronto i politici che reggono le sorti del mondo non sono che nani. L’enciclica, disinnescata dai media come un appello ecologista, è in realtà una critica radicale dei valori dominanti del capitalismo neoliberista. A Sao Tomè ci guidano le sue parole su “Il clima come bene comune”: “La maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana. La loro concentrazione nell’atmosfera impedisce che il calore dei raggi solari riflessi dalla terra si disperda nello spazio. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili, che sta al centro del sistema energetico mondiale. Ha inciso anche l’aumento della pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola. A sua volta, il riscaldamento ha effetti sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso che aggrava ancora di più la situazione e che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione di parte della biodiversità del pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di anidride carbonica. A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose, giacché esse aiutano a mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamento prodotto dall’anidride carbonica aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare marina. Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi. L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere. I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela. Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati dalle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per nostri simili su cui si fonda ogni società civile”. Bisogna cambiare, conclude Bergoglio, “gli attuali modelli di produzione e di consumo” e combattere “la cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano rapidamente in spazzatura”. La voce del Papa è andata in tutto il mondo, e anche i potenti della Terra dovranno tenerne conto. Il resto tocca a ciascuno di noi.
Giorgio Pagano
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