La foresta tropicale,regno della biodiversità
Città della Spezia, 12 luglio 2015 – Siamo arrivati al Parco Naturale di Obò, la riserva naturale di Sao Tomè e Principe, partendo dalla “roça” di Ponta Figo. Le “roças” sono le piantagioni agricole coloniali, nazionalizzate dopo l’indipendenza del 1975, dal 1992 privatizzate, concesse cioè a piccoli e medi agricoltori. La privatizzazione è stata di fatto una parcellizzazione: un ettaro e mezzo per famiglia, in qualche caso 5, massimo 10 ettari. I contadini lavorano per la sussistenza. Ponta Figo, come tutta l’isola, è ricca di cacao, considerato tra i migliori del mondo. Fu introdotto a Sao Tomè nel 1822 e a Principe nel 1855. Ma la coltura e la coltivazione di un cacao così speciale sono rese possibili dal mantenimento della “Floresta de Sombra” (Foresta d’Ombra), che protegge le piante. Una funzione indispensabile, soprattutto dove non c’è la possibilità dell’irrigazione. La foto che vedete in alto è di alcuni alberi della “Floresta de Sombra”, quella che vedete in basso è di una pianta di cacao: quegli alberi sono poco più in alto, a qualche decina di metri di distanza da quella pianta di cacao.
Usciti dai confini della piantagione si sale in un paio d’ore alla ”Floresta Primaria de Altitude”: una guida ci conduce in un percorso fatto di molti tunnel in cui passa l’acqua che serve ad alimentare una turbina elettrica. Tra un tunnel e l’altro si è immersi nella “Floresta Primaria”, magnifica nella sua imponenza. Dentro i tunnel si cammina con la torcia, in ciabatte da mare e l’acqua fino al ginocchio. Poi, usciti, ci si infila le scarpe da trekking, e così via. In un tratto di tunnel ha sorvolato le nostre teste uno stormo di pipistrelli. Detta così, può sembrare una cosa da spavento. In realtà, un po’ perché eravamo in un gruppo, un po’ perché qui si è consapevoli di essere in Africa, dove cose del genere sono normalissime, più che impauriti siamo stati contenti di avere incontrato i “morcegos” (una specie nativa di Sao Tomè). E forse sono stati loro a spaventarsi…
La foresta tropicale è il regno della biodiversità, che a Sao Tomè e Principe è notevole. Lo si deve all’isolamento geografico e alle dimensioni ridotte dell’isola, e alla diversità dei suoi habitat. Gli ecosistemi sono tanti: foresta pluviale, foresta d’altura o primaria, foresta secondaria, foresta d’ombra, pianure, savane, foreste di felci… Secondo i dati della “Strategia e piano di azione nazionale per la Biodiversità” (marzo 2015) elaborata dalla Direzione Generale del Ministero delle Infrastrutture, Risorse Naturali e Ambiente, i tipi di piante sono 1260: 148 endemiche, 933 indigene, 297 introdotte e/o coltivate. Tra quelle endemiche, il 12,2% è in pericolo, il 14,9% è vulnerabile.
Le cause della perdita di biodiversità sono addebitabili a responsabilità umane: l’utilizzo di prodotti chimici, la ricerca di nuove aree di coltivazione e soprattutto il taglio di alberi e arbusti per produrre la “madeira serrada” -legna per costruire- e il carbone vegetale, usato come combustibile. La produzione di “madeira” avviene da tre decenni in forma crescente, tanto che è nata la classe socio-professionale dei “madeireiros”: migliaia di operatori, con migliaia di famiglie dipendenti. La deforestazione riguarda la foresta secondaria e la foresta d’ombra: l’abbiamo notato nella nostra escursione, imbattendoci spesso in tronchi segati, in legname tagliato accatastato e così via. Per fortuna la foresta primaria d’altura è intatta perché inaccessibile, ci ha spiegato in un incontro Aurelio Carvalho, Direttore del Parco di Obò. La penetrazione degli uomini nelle aree del Parco sta provocando la crescente distruzione anche degli habitat delle specie avicole endemiche. Gli uccelli sono poi vittime della caccia, che qui si fa tutto l’anno, con un regolamento che esiste ma non è stato né pubblicato né tantomeno applicato. La caccia illegale sta provocando il rischio della scomparsa di specie endemiche come il “porco de mato” (maiale selvatico) e il macaco. Anche il “buzio de mato” (grossa lumaca commestibile) è in pericolo.
Il compito che sta davanti allo Stato è enorme: salvare la biodiversità in un Paese poverissimo, in cui gli uomini aggrediscono la biodiversità per sopravvivere. L’indicazione di fondo della “Strategia e Piano di azione nazionale per la Biodiversità” è condivisibile: la foresta è una risorsa rinnovabile, ma deve essere gestita in forma sostenibile, compatibile con la protezione dell’ambiente. Va avviato un imponente piano di riforestazione e va fatto un censimento delle specie arboree, la base per poter dire quali e quanti alberi possono essere tagliati. Per esempio la “cedrela” è un albero con una particolarità, la crescita molto rapida. Ma in questi anni c’è stata una sovrautilizzazione anche di questa essenza. E’ chiaro che tutto questo va fatto con la partecipazione della popolazione: la “cultura della biodiversità” dei contadini non può che svilupparsi contemporaneamente alla loro inclusione nella gestione della parte periferica del Parco. Claudio Rissicini ci ha temporaneamente lasciati per andare nello Stato di Amazonas, in Brasile, a seguire proprio un progetto di questo tipo: al suo ritorno ci sarà di grande aiuto. E sarebbe molto importante che il Brasile cooperasse con Sao Tomè e Principe su un tema come questo, che li accomuna profondamente.
Il ragionamento va poi portato sul punto della biodiversità come risorsa economica, in grado di promuovere attività generatrici di reddito per le comunità locali: si pensi alla coltivazione sostenibile di piante sia medicinali che ornamentali (abbiamo visto, per esempio, delle bellissime begonie); ai prodotti medicinali di origine animale; e soprattutto all’ecoturismo o turismo rurale. Questo settore può davvero rappresentare una delle vocazioni fondamentali del futuro del Paese, ma oggi è una potenzialità quasi del tutto inesplorata. Già oggi molti turisti vengono per questo. Devono però trovare sentieri in buono stato, segnaletica, punti di informazione, guide ecologiche nei settori dell’ornitologia e della botanica…
La conservazione della foresta gioca inoltre un ruolo fondamentale nel settore agrario del Paese: non solo per la protezione del cacao dall’esposizione al sole, ma anche per la protezione dei bacini idrografici, per la salvaguardia del suolo contro l’erosione… Senza dimenticare che, come altri ecosistemi tropicali del mondo, le foreste servono ad assorbire il biossido di carbonio presente nell’atmosfera, contribuendo a mitigare il fenomeno della crisi climatica.
Il nostro compito -l’elaborazione del Piano Integrato di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo del Distretto di Lembà- ha a che fare anche con questo tema. Il Parco di Obò, nato nel 2006, occupa superfici sia nell’isola di Sao Tomè che in quella di Principe, ma gran parte del Parco è nei confini del Distretto di Lembà. Un’area poverissima, la cui vocazione ecoturistica è evidente. Il Direttore ci ha parlato di un nuovo Piano del Parco di prossima approvazione: siamo rimasti d’accordo che lavoreremo per l’armonia tra i due Piani. Piena intesa anche con il Direttore Generale dell’Ambiente, Arlindo de Ceita Carvalho, il quale ci ha anche lanciato un’idea suggestiva: “I contadini tagliano per costruire case, bisogna dare loro un’alternativa: servirebbe una fabbrica di mattoni”.
Giorgio Pagano
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