La guerra non è la soluzione
Città della Spezia, 26 febbraio 2023
di Giorgio Pagano
A distanza di un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, il pensiero va innanzitutto alle vittime. Non sappiamo quante siano. Nel novembre 2022 il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense Mark Milley parlò di 200.000 morti, suddivisi a metà. Oggi c’è chi dice siano 300.000. Un’ecatombe. A cui aggiungere i feriti – anche in questo caso non c’è un numero – e i profughi ucraini, 4,2 milioni. E la devastazione di buona parte dell’Ucraina.
Solidarietà, quindi, per tutte le vittime. Tutti i bambini, le donne, gli anziani. Tutti gli ucraini e i russi, civili e soldati mandati al macello in questo ma anche in tutti gli altri buchi neri del mondo che fatichiamo persino ad elencare: Siria, Yemen, Libia, Palestina, Myanmar, Afghanistan, Etiopia, Somalia, Sudan, Kurdistan, Sahara occidentale… La guerra è dappertutto, anche se i media non ne parlano.
Quella in Ucraina può eternizzarsi, non finire mai. O terminare, invece: ma con un conflitto nucleare, con la scomparsa dell’umanità. Il massacro va dunque fermato. Lucio Caracciolo – uno dei massimi esperti di geopolitica, non un “ingenuo” pacifista – ha scritto:
“Siamo prigionieri di un destino? Se ne può, se ne deve dubitare. Se ne può perché ci sono i margini per congelare il conflitto prima che a farlo sia l’inverno atomico. Se ne deve perché siamo umani, e lo sono anche i contendenti – pur se nei due campi c’è chi considera disumano il nemico – per tali mossi dall’istinto di conservazione”.
La terza guerra mondiale – che è già in atto da anni “a pezzi”, come dice il papa – può non deflagrare nella guerra nucleare. Sappiamo che è difficile, ma va trovato a tutti i costi lo spiraglio da cui avviare un percorso per uscire dallo scontro.
Prima, però, dobbiamo essere convinti che non c’è alternativa.
La “guerra giusta” non esiste: perché ogni conflitto porta con sé ingiustizie infinite, che restano marcate nel tempo e segnano il futuro di chi ha combattuto e di chi ha subito.
La guerra non è la soluzione: la vittoria militare porta altre guerre e si trasforma nel suo contrario. La vera vittoria è la pace.
Non chi pensa alla pace è un illuso, ma chi crede che sia lo strumento militare a risolvere le controversie.
Lo dimostra la storia.
Ne sono consapevoli, paradossalmente, più che tanti “esperti” con l’elmetto che affollano la Tv partecipando, da casa loro, alle battaglie, proprio i comandanti militari. Citiamo Mark Milley, il capo militare americano:
“Né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra che, invece, può solo concludersi a un tavolo negoziale”.
L’omologo di Milley, in Italia, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di stato maggiore della difesa, la pensa allo stesso modo:
“Sono sempre dell’idea che una soluzione militare non si possa trovare. Né gli uni, i russi, riusciranno mai a disarcionare la leadership ucraina, né gli ucraini potranno riuscire a riconquistare tutti i territori che sono stati invasi dalla Russia. Questo è un dato che rimane costante nel tempo. Sicuramente non possiamo permetterci un altro conflitto “congelato” nel cuore dell’Europa. E’ necessario fare una riflessione anche sul dopo, sul mondo che verrà, diverso da quello che era prima dell’invasione dell’Ucraina. Non ci sono alternative a superare le macerie e il dolore”.
La domanda è: ma Biden e la Meloni, prima di decidere, non ascoltano i loro capi di stato maggiore?
Quali sono le motivazioni degli Stati Uniti, così lontani dalla zona di guerra? Perché in Europa, sconfitto l’asse franco-tedesco, domina l’asse Polonia-Baltici-Usa (la “nuova Europa”, come la chiamano gli americani)? Sono motivazioni che vanno ben al di là dell’Ucraina, e puntano a ridisegnare il mondo, anche da un punto di vista economico.
Certamente gli ucraini, in quanto aggrediti, hanno il diritto di difendersi: la loro resistenza è legittima in base al principio di autotutela individuale o collettiva così come indicato all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Ma questo articolo non stabilisce che gli Stati non belligeranti debbano inviare armamenti a una popolazione aggredita. Se così fosse i Paesi occidentali dovrebbero inviare armamenti a tutte le popolazioni i cui diritti sono militarmente violati, che sono tantissime nel mondo. Cosa che non hanno mai fatto.
Gli Stati non belligeranti, invece che dare armi, dovrebbero, in base agli articoli dal 51 al 54 della Carta delle Nazioni Unite, ripristinare “la pace e la sicurezza internazionale”, individuando una “soluzione pacifica”.
Il cessate il fuoco, il negoziato, la pace sono dunque possibili. Ma occorre un’iniziativa straordinaria delle Nazioni non belligeranti. Basterebbe leggere – e poi voler rispettare – gli impegni assunti in sede Onu da “Noi, popoli delle Nazioni Unite”.
Questa è la principale fonte politica, giuridica, morale a cui ispirarsi: la Carta delle Nazioni Unite.
Insieme al Trattato dell’Unione Europea, che è nata per assicurare la pace e la sicurezza, come sancisce l’art. 21.
Insieme alla nostra Costituzione. La Costituzione “ripudia la guerra” come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, in ogni caso. E le limitazioni di sovranità che essa prevede sono espressamente finalizzate per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni e a promuovere le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Limitazioni per promuovere la pace, dunque, non per partecipare alle guerre, né proprie né altrui.
L’invito della Costituzione è chiaro: è quello di ricercare altre strade per assicurare la pace tra le Nazioni.
E’ vero, siamo lontani da questo impegno. Ma nel mondo c’è chi disegna prospettive di pace, chi rifiuta la logica primitiva amico-nemico per entrare in una nuova logica, quella di un compromesso equo e sostenibile per tutti. Sono gli uomini più saggi: il papa, i grandi filosofi Jurgen Habermas ed Edgar Morin. La Cina ha avanzato una proposta. Il presidente Lula, in Brasile, ha detto: “Non voglio unirmi alla guerra, voglio fermarla”.
E poi ci siamo noi, le persone semplici, il movimento per la pace, che venerdì è sceso in piazza in tutto il mondo, anche a Spezia.
Non dobbiamo assuefarci alla guerra. La guerra trasforma il pensiero dell’uomo, frena ogni visione collettiva globale, la lotta per i beni comuni, per l’eguaglianza, per la giustizia sociale e ambientale.
Diceva Einstein:
“Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.
Non dobbiamo stare a guardare.
Venerdì a Spezia eravamo in tanti. Ragazzi che per la prima volta partecipavano a una manifestazione. Persone che non partecipavano a una manifestazione da decenni.
Una iniziativa plurale, con tante anime unite tra loro, dalla CGIL alle ACLI, dai pacifisti agli ambientalisti. Ognuno ha preso la parola nelle varie piazze della città.
In piazza Sant’Agostino, concludendo, don Luca Palei della Caritas ha guardato le fiaccole, le ha definite “luci della speranza”. E ha ribadito: “Non ha senso dire che bisogna fare la guerra per ottenere la pace”.
In piazza Garibaldi, introducendo, ho citato le tre donne, una ucraina, una russa, una bielorussa che la rete organizzatrice delle manifestazioni, Europe for Peace, ha riunito a Roma, e che il papa ha incontrato. Queste le loro parole:
“Siamo tre donne di tre Paesi in guerra, ma abbiamo trovato una lingua comune – quella della pace – perché lottiamo per le stesse cose, perché per noi nulla vale più della vita umana”.
Anche queste parole, mentre le trombe della guerra diventano sempre più assordanti, sono come delle luci.
Post scriptum
Sul tema rimando a questi articoli pubblicati su “Città della Spezia”:
“La Pace, l’ideale più grande per cui vale credere e lottare”, 25 febbraio 2022
“La guerra e la paura del futuro, a due anni dal Covid 19”, 27 febbraio 2022
“Una guerra nel cuore dell’Europa”, 10 aprile 2022
“Per la pace, contro la scelta di Caino”, 18 aprile 2022
“Un 25 aprile per la pace”, 25 aprile 2022
“La via possibile per la pace”, 8 maggio 2022
“Sono sempre i più deboli a pagare. La sconfitta africana nella guerra del grano”, 12 giugno 2022
“Il grido della pace, da Luni e Castelnuovo a piazza San Giovanni”, 6 novembre 2022
“La carestia di pace”, 27 dicembre 2022
“A novanta secondi dalla fine”, 12 febbraio 2023
Le fotografie di oggi sono state scattate da Ercole Buoso durante la fiaccolata del 24 febbraio.
Giorgio Pagano
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