Umoja, il villaggio del Kenya dove le donne sono libere dalla violenza di genere
10 Luglio 2023 – 20:58

Africa, 10 luglio 2023
di Claudia Volonterio
C’è un luogo sicuro in Kenya dove tante donne si sono rifugiate negli anni per proteggersi da ogni forma di violenza di genere, tra cui stupro, mutilazioni genitali femminili, abusi …

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Ciascuno può fare la sua parte, se vuole

a cura di in data 7 Ottobre 2024 – 20:56Nessun commento

Graffito di Banksy “Fate hummus non muri” sul muro costruito da Israele a Betlemme
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia 6 ottobre 2024

I lettori della rubrica sanno quanto tenga al tema della memoria. Ci serve sempre: anche per la pace, contro tutte le guerre. Il grande regista cinematografico israeliano Amos Gitai, nei giorni scorsi, alla domanda: “Qual è la strategia di pace”, ha risposto così:
Io insisto sulla memoria: non un sentimento nostalgico, ma un dispositivo che consente di orientarci, di darci un senso, una direzione”.
La memoria che va più lontano nel tempo ci spiega che musulmani ed ebrei, così come i cristiani, hanno vissuto insieme in Palestina prima della fondazione di Israele, nel 1948. E ancora meglio, prima dell’arrivo del sionismo, in terre come il Nord Africa o l’Iraq.
La memoria della recente storia in Afghanistan e in Iraq ci dimostra che non basta la forza per aver ragione del terrorismo.
In uno raro sprazzo di grande lucidità, Joe Biden, durante la visita in Israele del 19 ottobre 2023, disse a Netanyahu: “Comprendiamo la vostra rabbia, ma non commettete i nostri errori dopo l’11 settembre”. Gli USA, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, invasero l’Afghanistan nel 2001 (nonostante che nessun attentatore fosse afghano). Hanno perso sia gli afghani – che hanno avuto centinaia di migliaia di vittime civili e un Paese distrutto – ma anche gli americani, fuggiti da Kabul nel 2021 dopo migliaia di soldati morti lasciando il Paese nel caos, con i talebani al potere. Hanno vinto solo coloro che nelle guerre vincono sempre: il complesso militare-industriale, l’industria bellica che in vent’anni di guerra ha visto raddoppiare i propri profitti.
Israele stesso ha commesso errori simili, proprio nel Libano che ha appena invaso. La prima invasione, nel 1982, favorì la nascita di Hezbollah. La seconda invasione, nel 2006, ne rafforzò la presa sullo Stato libanese.
Possibile che la storia non insegni nulla?
Lo stesso Biden, dopo quello sprazzo, si contraddisse subito: da un anno stanzia molti milioni di dollari di aiuti militari a Israele, che uccide i palestinesi e ora anche i libanesi proprio con i proiettili americani.
A un anno dal 7 ottobre verifichiamo che è accaduto quanto si temeva.
Nulla può giustificare l’operato di Hamas: l’uccisione di 1.200 civili, che non ha risparmiato bambini, donne e anziani, e il rapimento di 251 ostaggi, in larga parte civili.
E’ vero che il 7 ottobre 2023 non è l’inizio. Segna semmai la fase terminale di decenni di crisi profonda: l’occupazione, la colonizzazione, l’apartheid. Crisi profonda che la comunità internazionale non ha affrontato. Ma ciò non giustifica quanto Hamas ha compiuto.
Così come l’operato di Hamas non giustifica la smisurata e crudele reazione di Israele a Gaza: oltre 40.000 vittime, di cui 16.000 bambini. Il “Lancet”, rivista settimanale britannica di medicina generale, forse la più autorevole al mondo, ha dedicato un articolo al calcolo delle vittime della guerra di Gaza. I risultati di questa indagine, rigorosa e documentata, sono eclatanti: i morti sarebbero 186.000.
Genocidio o crimini di guerra, cambia poco. Pensiamo agli orfani che si aggirano tra le rovine, al mezzo milione di persone che stanno morendo di fame e malattie per via dei blocchi degli aiuti umanitari. Pensiamo agli ospedali e alle scuole bombardate, alle torture inferte ai detenuti delle carceri israeliane immortalate da diversi video girati dagli stessi soldati dell’Idf, l’esercito di Israele.
Hezbollah va biasimato, ma la risposta non può essere l’invasione del Libano.
Ora Netanyahu vuole la guerra anche con l’Iran. La guerra prolungata prolunga la sua carriera politica. Ha fatto e sta facendo di tutto per trascinare l’Iran nella guerra. Avrebbe potuto uccidere Hismail Haniyeh, il capo di Hamas, in Qatar, ma ha voluto ucciderlo a Teheran. Sa che la guerra di Israele con l’Iran costringerebbe l’America di Biden e Harris a intervenire a suo favore. Israele da sola non può sconfiggere l’Iran. La sua debolezza è la sua forza. Mentre gli USA sarebbero impegnati con l’Iran, Israele si concentrerebbe sulla pulizia tecnica a Gaza. E’ anche un modo per far perdere quasi certamente alla Harris le elezioni e per far vincere l’amico Trump. Biden e la Harris portano enormi responsabilità. Ma con Trump, che odia l’Iran con tutte le sue forze, la terza guerra mondiale sarebbe ancora più vicina.
Di fronte a tutto ciò non resta, a noi cittadini, che una strada: dire, scrivere, manifestare, suscitare un moto definitivo di ripudio della guerra. Ripudiare, come recita l’art. 11 della Costituzione. Chiedere alla politica di dire e di fare. Non con qualche riga ipocrita in un comunicato, ma con un moto di ripudio.
La Corte Costituzionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione da parte di Israele delle terre palestinesi al di fuori dei confini del 1967, prima della guerra del giugno 1967, è illegale. L’Assemblea generale dell’ONU ha invitato Israele a ritirarsi dai territori occupati. Israele ha reagito dichiarando il presidente dell’ONU persona non grata. In questo modo si è posta al di fuori del diritto internazionale. Israele è lo Stato che realizza la massima ribellione possibile alle regole che governano la comunità internazionale. Ma bisogna reagire, fare. Se il potere militare USA non sostenesse Israele, se l’Europa facesse lo stesso, se tutti facessero pressioni, Israele si ritroverebbe isolato e le cose cambierebbero.
I due Stati diventerebbero possibili. All’inizio avranno magari i confini fortificati, presidiati dalla comunità internazionale. Ma intanto ci sarà la pace, e la convivenza potrà soltanto migliorare.
Tutto questo accadrà se anche i civili israeliani e palestinesi faranno la loro parte, riconoscendo ciascuno il dolore e la sofferenza dell’altro. La via d’uscita è nelle mani di chi diserta e rompe la spirale dell’odio, da ambo le parti. Nella sua “Lettera a un amico ebreo”, Ibrahim Souss – ringrazio Maddalena Oliva che su “Il Fatto” mi ha fatto scoprire questo bellissimo testo – rivolgendosi all’altro scrive: “Io ho compreso la tua angoscia. Adesso tocca a te vedere la mia. Ti chiedo di esorcizzarle insieme. Non sono invincibili”.
Domenica scorsa ho scritto di Marzabotto e delle stragi naziste, e del caporale della Wehrmacht Josef Vogt, che a San Polo di Arezzo, il 14 luglio 1944, disse al maresciallo che gli aveva ordinato di uccidere con un colpo alla testa 48 civili: “La mia pistola non è fatta per questo”.
Ognuno può fare la sua parte.
Souss ricorda di un vecchio amico di famiglia, andato a rivedere la sua vecchia casa di Gerusalemme, abbandonata nel 1948. Prese coraggio e bussò.

Tel Aviv, la spiaggia
(2018) (foto Giorgio Pagano)

“Un vecchio aprì la porta. Disse ‘Shalom’.
L’amico rispose: ‘E’ casa mia’.
Il vecchio disse: ‘Lo so’. Esitò prima di aggiungere: ‘Nel 1949, quando arrivai dalla Romania, lo ignoravo. Dicevano di aver costruito case per accoglierci’.
L’amico cominciò a piangere. Dalla porta socchiusa, aveva appena visto l’antica stampa di Gerusalemme da lui stesso appesa al muro qualche mese prima della precipitosa partenza. Disse: ‘E’ il mio quadro’.
Il vecchio si voltò, fece qualche passo e staccò l’opera dal muro. Gliela porse. E con le lacrime agli occhi: ‘Mi perdoni’.
L’amico prese la stampa. Non disse nulla. Tornò a casa. Disse ai suoi figli che ciascuno può fare la sua parte, se vuole’.
Quel vecchio ebreo romeno, appartenente alla generazione per cui il ricordo della ferita era ancora vivo, aveva capito. O riusciamo a trasmettere questa cultura del dialogo e dell’incontro, o ci saranno solo l’orrore, il sangue, la morte.

Post scriptum
Le fotografie di oggi sono state scattate nel 2018: la prima ritrae il graffito di Banksy “Fate hummus non muri” sul muro costruito da Israele a Betlemme; la seconda la spiaggia di Tel Aviv.
Sul tema rimando ai miei più recenti articoli della rubrica:
“Barabba o Gesù”, primo aprile 2024
“La guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea”, 24 febbraio 2024
“L’odio non può mai essere buono”, 23 dicembre 2023
“Dobbiamo imparare a vivere insieme”, 15 ottobre 2023
“Israele e Palestina: c’è un unico modo per raggiungere la pace”, primo ottobre 2023
“Natale in Palestina”, primo gennaio 2023
Rimando inoltre ai miei più recenti articoli su altre testate:
“Una conferenza di ri-nascita per ebrei e palestinesi”, Critica sociale, febbraio-marzo 2024, leggibile su www.funzionarisenzafrontiere.org
“Fermare l’orrore con la forza della ragione”, Critica sociale, 18 ottobre 2023, leggibile su www.funzionarisenzafrontiere.org
“Cisgiordania: l’altro Israele faccia sentire la sua voce”, Critica sociale, maggio-giugno 2023, leggibile su www.funzionarisenzafrontiere.org
“Palestina dimenticata”, Patriaindipendente.it, 2 gennaio 2023

Giorgio Pagano

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