Una storia già vista
AFRICA n. 2 marzo-aprile 2021
di MARCO TROVATO
Direttore editoriale
Gli africani saranno gli ultimi a liberarsi dall’incubo del coronavirus. Malgrado nel loro continente si sia registrato un numero di contagi inferiore che nel resto del mondo, la pandemia vi indugerà ancora a lungo, specie nelle regioni subsahariane, con conseguenze devastanti in vite umane e in contraccolpi socio-economici. «Il covid in Africa da pandemico potrebbe trasformarsi in endemico e rimanere con noi per molto tempo», avverte Githinji Gitahi, medico e amministratore delegato di Amref, uno dei massimi esperti in merito di sanità pubblica nel continente. Il nord del mondo si è assicurato dosi di vaccino sufficienti a immunizzare più volte le proprie popolazioni. L’Africa, che ha un ridotto potere negoziale, è rimasta all’angolo. Per capirsi: il Sudafrica, il Paese più colpito dal covid-19 ma anche il più sviluppato della regione subsahariana, ha dovuto accettare di pagare i primi vaccini sviluppati da AstraZeneca quasi 2,5 volte di più che non i Paesi europei. «Prendere o lasciare»: è il ricatto di Big Pharma. Il prezzo lo fa il mercato, secondo la ben nota legge della domanda e dell’offerta, e per ora la richiesta di vaccini è enormemente più grande della disponibilità. I prezzi scenderanno forse quando avremo maggiore varietà di approvvigionamento (al momento sono una settantina i vaccini in fase clinica, di cui 16 hanno raggiunto la fase finale dei test e 6 già in uso).
Nel frattempo le speranze dell’Africa sono riposte in Covax, un piano globale finanziato da grandi donatori (tra cui la Ue, la Cina, filantropi e fondazioni private) che mira a fornire due miliardi di dosi ai più poveri del pianeta entro il 2021, ossia agli abitanti di 92 Paesi a reddito medio-basso del sud del mondo che non possono permettersi di acquistarli. E comunque la salute della popolazione più svantaggiata – più di un miliardo di persone solo in Africa – non dovrebbe dipendere dalla beneficenza e dalla generosità dei ricchi. Benché ci sia stato un contributo pubblico senza precedenti nello sviluppo dei vaccini, i Grandi della Terra non se la sentono di premere sulle società farmaceutiche detentrici dei brevetti (che danno il diritto esclusivo di sfruttare per vent’anni il proprio prodotto), limitandosi a chiedere sconti per sé: le leggi del mercato sono inviolabili e pazienza se i profitti costano milioni di vite umane. Ma c’è chi non si arrende. Sudafrica e India hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio di sospendere i diritti di proprietà intellettuale su qualsiasi tecnologia, farmaco o vaccino contro il coronavirus almeno fino a che non sia raggiunta l’immunità globale di gruppo, che l’Oms stima al 70% della popolazione mondiale. L’appello è finora caduto nel vuoto. Una storia già vista. Quando il mondo era flagellato dall’aids, tre potenze emergenti – Sudafrica, India, Brasile – combatterono una battaglia epocale per la produzione e distribuzione degli antiretrovirali generici nei Paesi poveri. L’obiettivo fu raggiunto nel 2001 con la Dichiarazione di Doha, che riconobbe il diritto dei governi di adottare tutte le misure necessarie per eliminare le barriere della proprietà intellettuale al fine di dare priorità alla salute pubblica e non agli interessi commerciali.
Da allora, «i prezzi del trattamento scesero da 10.000 dollari, cifra insostenibile per tanti Paesi, a 150», ricorda Silvia Mancini, esperta di salute pubblica di Medici senza frontiere. «Si persero però dieci anni preziosi prima che le terapie per l’Hiv-aids raggiungessero il continente. E tante, troppe vite. Non possiamo ripetere l’errore».
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