Le verità della tradizione orale
Africa, 12 novembre 2022
«Le parole sono come le uova: appena schiuse, mettono le ali», dice un proverbio africano. Certo le fonti scritte sono importanti. Ma per ricostruire la storia e capire le culture del continente è fondamentale assistere ai momenti di narrazione sugli spiazzi dei villaggi. Dove i fatti e le leggende sono raccontati con la magia della voce, cantati, recitati, condivisi con le comunità.
di Marco Aime
Nel 1961 l’antropologo belga Jan Vansina pubblicò La tradizione orale, frutto di numerosi studi presso diverse popolazioni dell’Africa centrale. Scopo del libro, subito diventato un testo fondamentale per chi intraprendesse una ricerca sul campo, era ridare al grande corpus di poemi, leggende, canti, racconti uditi in terra africana il valore storico che possedevano.
Quella che noi chiamiamo “tradizione orale” è in realtà un insieme di forme espressive diverse. Esistono, per esempio, testimonianze collettive ripetute in pubblico (sorta di versione “ufficiale” del fatto narrato) – di norma sono gestite da chi detiene il potere, quindi suscettibili di distorsioni e adattamenti.
Ci sono poi momenti di narrazione pubblica fatta negli spiazzi dei villaggi. Si tratta in genere di racconti divertenti e grotteschi, talora dalla forte valenza sessuale, alla cui narrazione partecipano i presenti con battute e interventi più o meno pesanti.
Se la tradizione è patrimonio di un gruppo ristretto di persone – sacerdoti, stregoni, cantastorie (griot), membri di una casta o di una società segreta –, sarà probabilmente più precisa e fedele alla testimonianza da cui è nata, in quanto funzionale alla struttura a cui fa riferimento. Al di là della descrizione dei fatti puri e semplici, l’analisi strutturale di un racconto potrà portare alla scoperta di un ordine di valori implicito nelle parole del narratore.
L’espressione orale è però inevitabilmente legata a una componente gestuale e perciò diventa teatrale. Wole Soyinka, scrittore nigeriano di teatro e Nobel per la Letteratura, afferma che non c’è soluzione di continuità fra la tradizione orale del suo popolo (Yoruba) e le sue opere teatrali. Il narratore non racconta solo con le parole, ma dando vita a una performance gestuale, mimica e vocale che rende la storia più efficace. Dovremmo parlare di tradizione teatrale, più che orale.
La parola contribuisce a stabilire una gerarchia tra oratori e pubblico, per questo assume un’importante funzione normativa, trasmettendo alle giovani generazioni norme e regole e, soprattutto, una visione condivisa della propria società.
Nelle società letterate l’occhio ha assunto un’importanza determinante rispetto agli altri sensi, i quali fino al XV-XVI secolo avevano un ruolo primario nel trasmettere la tradizione. Una delle caratteristiche più evidenti degli individui che non fanno uso della scrittura è la loro capacità mnemonica. Grazie a essa, si possono ricostruire avvenimenti lontani nel tempo, anche tramandati di generazione in generazione. Se la capacità mnemonica è un fatto individuale, l’espressione della memoria è spesso il frutto di un processo non solo personale ma collettivo, dunque sociale.
Se dalle fonti scritte è generalmente semplice ricostruire la sequenza temporale dei fatti e collocare più o meno esattamente i periodi in questione, dalle testimonianze orali emergono spesso due dimensioni distinte del tempo e della sua percezione. Da un lato, una dimensione soggettiva, svincolata dagli avvenimenti “storici” e basata piuttosto sui ritmi della propria famiglia e degli eventi personali; dall’altro, un tempo collettivo, che ripropone dati più “oggettivi”, condivisi dalla comunità e legittimati dalla tradizione.
Non sono solo i racconti a dar vita alla tradizione orale, ma anche i canti, legati alle rispettive danze. Ci sono canti per i giovani che devono essere iniziati, per gli adulti, canti legati a una particolare professione. Certe melodie possono essere cantate solo quando si raggiunge un’età appropriata. Ciò sottolinea l’importanza di tale forma di espressione, che contribuisce a riaffermare nelle occasioni pubbliche i differenti ruoli e la posizione di ogni individuo in seno alla struttura. Esistono inoltre canti di tipo storico, che rievocano eventi del passato e vengono continuamente arricchiti con elementi recenti, diventando così delle vere e proprie cronache.
(Marco Aime)
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