Cancellati. I meticci nel colonialismo italiano
29 Luglio 2023 – 21:50

Africa, 29 luglio 2023
di Uoldelul Chelati Dirar
Nel suo Diario eritreo, il governatore civile dell’Eritrea Ferdinando Martini (1897-1907) nel giustificare la sua ferma opposizione alla formazione scolastica dei giovani eritrei affermava che sarebbe stata una spesa …

Leggi articolo intero »
Home » Le Monde

“Israele impone il suo pericoloso espansionismo nel vicino Oriente” e “Israele si prende intere aree di Gaza”

a cura di in data 27 Aprile 2025 – 22:57Nessun commento

In data 14 e 17 aprile Le Monde ha pubblicato due interessanti articoli che portano rispettivamente i titoli “Israele impone il suo pericoloso espansionismo nel Vicino Oriente” a firma Louis Imbert (servizio internazionale) e “Israele si prende intere aree di Gaza” a firma di Samuel Foré (corrispondente a Gerusalemme) corredato da una mappa aggiornata della Striscia.

“Israele impone il suo pericoloso espansionismo nel Vicino-Oriente”

L’autore sottolinea il fatto che dal 7 ottobre lo Stato Israeliano ha di fatto condotto una politica espansionistica con l’occupazione di Gaza, l’annessione di fatto della Cisgiordania e la creazione di zone intermedie in Libano e Siria.

Per Israele la caduta del regime di Assad è stata una “divina sorpresa”, colta al volo dal governo: da 4 mesi i soldati israeliani portano avanti azioni di intimidazione e cooptazione dei Drusi del Golan e si spingono ben al di là della linea in cui si erano fermati nel 1967. Intanto lo Stato israeliano compie ogni mossa per destabilizzare il nuovo regime di Damasco in rivalità con la Turchia.

Secondo il ministro israeliano della difesa, Katz, la tolleranza nei confronti di Hamas sarà nulla, né si lascerà Hezbollah rafforzarsi con nuovi missili. I generali agiranno prima che il nemico sia in grado di minacciare le frontiere. Per un decennio Israele ha chiamato “guerra tra le guerre” la campagna di bombardamenti e sabotaggi che ha portato avanti in tutto il Vicino Oriente contro le consegne di armi e il trasferimento di tecnologie militari dall’Iran ai suoi alleati. Ormai tale campagna diventa una guerra senza fine. Israele sta imponendo nella regione un puro e semplice rapporto di forza. Non apre negoziati con l’Autorità Palestinese, unica alternativa ad Hamas e nemmeno con i vicini libanesi e siriani per definire il tracciato dei confini rimasti incerti dalla creazione dello Stato. Al contrario Israele va avanti poiché la coalizione al potere a Gerusalemme ha ambizioni rivoluzionarie e coglie l’occasione per distruggere la Palestina, sta annientando Gaza e accelera una lunga guerra coloniale in Cisgiordania. Sta “bruciando” una pagina di storia iniziata con gli accordi di pace di Oslo che non gli sono mai piaciuti, accordi che hanno come presupposto una democrazia liberale, in pace. Se fino agli anni 1990 Netanyahu adoperava ancora questo lessico, oggi non nomina più il “campo occidentale” intendendo rispetto delle frontiere e dello Stato di diritto. Ora preferisce la “civiltà giudeo-cristiana” ed esorta i suoi ministri ad essere dei Trump. Cerca di accattivarsi la benevolenza di Trump quando questi sogna di divorare la Groenlandia e il Canada legittimando l’appetito di Mosca su parte dell’Ucraina.

Trump, che condivide a logica suprematista della destra israeliana, vuole riconoscere la sovranità israeliana su grandi aree della Cisgiordania e in gennaio proponeva la pulizia etnica pura e semplice della Striscia di Gaza. Tutto ciò si è impresso nella mente degli israeliani che sono tornati alla logica binaria dei “loro o noi” e tollerano che due milioni di vite palestiniane siano cancellate.
Tuttavia Israele ha ancora dei dubbi: Trump è un padrino incostante. L’Arabia Saudita suggerisce che un accordo storico è ancora possibile per la pace nella regione se soltanto Netanyahu lasciasse il potere. Già in gennaio Trump aveva imposto un cessate il fuoco.

Da qualche giorno l’amministrazione americana ripete il nome di un ostaggio americano di Hamas, Edan Alexander, di cui credeva di ottenere la liberazione, dimenticandosi poi di lui pensando ad altro. Ucraina, Iran, Gaza…: un pugno di responsabili americani senza esperienza ha in mano questi problemi che hanno logorato intere vite di esperti. Non hanno il tempo di capirci nulla. Intanto Israele ha ogni libertà per costringerli. E ha rilanciato la guerra a Gaza; questo pugno di Americani non ha obiettato nulla.

Le operazioni dell’esercito israeliano per indebolire Hamas si trasformano in una riconfigurazione dell’enclave

A Rafah vivevano da 150.000 a 200.00 palestinesi prima del 7 ottobre. Posta nel sud della Striscia, al confine con l’Egitto, la città dovrebbe diventare zona intermedia gestita dall’esercito. Tale no man’s land, conquistato dalle forze israeliane negli ultimi giorni, dovrebbe estendersi sino al corridoio di Mofarg, formando un asse che attraverserebbe la Striscia da parte a parte creando un terzo asse di divisione su una superficie di 75 km quadrati sui 360 kilometri dell’enclave (1/5 del territorio) e taglierebbe la Striscia dal confine con l’Egitto.

Al centro l’esercito controlla un vasto corridoio, quello di Netzarim, che isola la città di Gaza dal resto del territorio. A nord ha anche allargato il no man’s land, come la zona di rispetto su l’intera frontiera della Striscia. Larga 300 m prima del 7 ottobre ora varia da 800 a 1.500 m.

Una relazione di Breaking the Silence (associazione israeliana) chiarisce che in tale spazio sono state eliminate “ogni coltivazione, struttura o persona” per offrire una visuale libera all’esercito che ha avuto ordine di “annientare deliberatamente, metodicamente e sistematicamente tutto quanto si trovava nel perimetro indicato, ivi compresi quartieri residenziali, edifici pubblici, strutture d’insegnamento, moschee e cimiteri, con poche eccezioni”, precisa la relazione. Molti temono che questo sia il destino di Rafah.
L’esercito moltiplica inoltre lo spostamento delle popolazioni, intimando ai palestinesi di abbandonare interi quartieri per le zone dette “umanitarie”. “Abbiamo constatato che circa il 65% della Striscia di Gaza si trova nelle “zone di rispetto” allargate. Ma se si aggiungono gli ordini di spostamento si arriva al 65% della Striscia di Gaza. Senza contare l’altra zona di Rafah che il governo vuole riprendersi e le evacuazioni degli ultimi giorni”, aggiunge Tania Harry, direttrice dell’ONG israeliana di difesa dei diritti umani Gisha.

Queste zone sono diventate “zone di morte dalle enormi proporzioni” prosegue la relazione di Breaking the Silence. Un militare, interrogato dall’associazione, ha dichiarato che la sua unità aveva ricevuto ordine di sparare su ogni persona trovata entro il perimetro. Per loro non esistono civili ed ogni persona viene considerata “terrorista”. Risulta chiaramente da queste testimonianze che “l’esercito israeliano non combatte contro Hamas ma fa piuttosto di Gaza una zona di morte inabitabile”, con lo scopo di invitare i Gazawi a lasciare l’enclave se Israele aprisse i passaggi e se Paesi vicini accettassero di accoglierli come immaginato dall’amministrazione americana: questo secondo Mairav Zonzstein, analista per il gruppo internazionale Crisi Group.

Nonostante 18 mesi di guerra brutale, la distruzione totale o parziale dell’80% delle infrastrutture civili, la morte di più di 50.000 palestinesi, fra cui “20.000 combattenti”, secondo Herzi Halevi, ex capo dello Stato Maggiore dell’esercito israeliano, Israele non è riuscito ad eliminare Hamas, il quale non è più in grado di  organizzare attacchi come quello del 7 ottobre, ma controlla ancora Gaza grazie alla sua organizzazione militare e amministrativa di alcune decine di migliaia di persone. Secondo dirigenti del ministero della difesa israeliano, citati da “Haaretz”, Hamas avrebbe ricostituito le proprie forze con 40.000 combattenti ma dal 18 marzo le truppe israeliane hanno lamentato un solo incidente in cui sono state oggetto di attacchi.

Tuttavia la distruzione di Hamas rimane l’obbiettivo ufficiale del governo israeliano, pretesto alla ripresa dei bombardamenti di queste ultime settimane che hanno causato la morte di più di 1.500 palestinesi. Domenica 13 aprile l’ospedale Al-Ahli in cui si trovava, secondo l’esercito israeliano, un comando è stato parzialmente distrutto dalle bombe dopo che i pazienti e il personale medico avevano ricevuto l’ordine di evacuazione.

Il nuovo capo di Stato maggiore, Eyal Zamir, ha difeso questa strategia in un discorso dell’8 aprile in cui invitava i soldati a “provocare la disfatta della brigata Rafah di Hamas”, la quale era stata dichiarata sconfitta nel settembre 2024 dal generale Cohen che aveva dichiarato allora “I loro quattro battaglioni sono stati distrutti ed abbiamo un controllo totale dell’intera area urbana”.

Ma i falchi in Israele esigono la prosecuzione della guerra. L’esercito assicura che le attuali operazioni hanno per scopo di isolare i gruppi di Hamas gli uni dagli altri e di suscitare contro il movimento una contestazione locale. Lo scopo finale è di spingerlo ad accettare la nuova versione dell’accordo negoziato dall’inviato di Trump, Steve Witkoff, che prevede la liberazione di tutti gli ostaggi in due fasi senza impegno israeliano a cessare le ostilità e a ritirarsi da Gaza. Questo assomiglia ad una invasione dell’enclave e ci sono poche probabilità che Hamas accetti tale accordo, secondo Kobi Michael, analista per i think tank israeliani Misgav e Institute for National Security Studies.

“Bolle umanitarie”

Per porre fine al potere di Hamas su Gaza, una delle strategie israeliane consisterebbe nel rioccupare la Striscia e nell’organizzare un’amministrazione militare per più anni, secondo Mr Michael e certi falchi israeliani, venti anni dopo il ritiro dell’esercito e lo smantellamento delle colonie (2005). Secondo il Financial Times, l’esercito ha proposto al governo dei piani di questo tenore per proseguire, estendere e intensificare le azioni in corso e ammucchiare le popolazioni di Gaza (più di 2 milioni di palestinesi), che vivevano già in uno dei territori più densamente popolati del mondo, in “bolle umanitarie” nel lungomare, cioè lontano da Gaza, Khan Yunes e Rafah. L’esercito o ONG accreditate dall’esercito sarebbero incaricati della distribuzione degli aiuti umanitari con l’intento che Hamas non lo controlli. Tale piano non sarebbe ancora approvato dal governo.

Sul piano militare l’esercito ha due possibilità per riprendere Gaza: condurre un’offensiva di grande importanza mobilitando molte unità di riservisti. È quanto ha annunciato sabato 12 aprile il ministro della difesa israeliano, Israel Katz: intensificazione delle operazioni e la loro estensione ad altre zone e particolarmente a Gaza City: “dovrete evacuare le zone di combattimento”, ha detto. La seconda consiste nel logoramento di Hamas, scommettendo che il tempo giochi a favore di Israele risparmiando personale e materiale ed evitando di richiamare nuovi riservisti.

Il primo piano trova difficoltà interne e il secondo pressioni esterne da parte degli Stati Uniti. Richiamare dei riservisti rischierebbe di accentuare la crescente contestazione in seno all’esercito, allorché alcuni iniziano a dubitare della fondatezza del proseguimento dei combattimenti, vista la carenza degli organici militari. D’altra parte centinaia di piloti, riservisti o pensionati hanno firmato una lettera in cui chiedono al governo di giungere a un accordo per salvare gli ostaggi, anche con l’arresto delle ostilità. Le forze aeree sono fra le meglio addestrate al mondo ed essenziali nella struttura militare israeliana. Sono state molto presenti nella mobilizzazione contro il governo nel 2023, ora che la contestazione riprende fiato. Ai piloti si sono aggiunti ufficiali e riservisti della marina, dei corpi blindati e membri dell’intelligence.

Il secondo piano che mira ad indebolire gradualmente Hamas, secondo alcuni media israeliani, non sembra piacere a Donald Trump che si spazientisce perché fautore di un piano globale con lo scopo di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita. Israele non avrebbe a disposizione che due o tre settimane per concludere le operazioni. Tuttavia un accordo metterebbe in pericolo il governo vista l’ostilità degli alleati di estrema destra a tale soluzione con la minaccia di abbandonare la coalizione nel caso di arresto delle operazioni.

Il tempo dell’opzione militare sta forse per finire. Una porzione sempre maggiore della popolazione israeliana vuole il ritorno degli ostaggi (di cui 24 ancora in vita e 35 presunti morti) piuttosto che la disfatta di Hamas, visto che un sondaggio di marzo indica che 68% degli intervistati è di questo parere contro 62% in settembre. Tamir Hayman, direttore del centro Israeliano Institute for National Security Studies, orientato a destra, ha palesato i suoi dubbi. In una tribuna pubblicata in marzo nel giornale Israel Hayom egli sottolinea il paradosso di Gaza: “Ciò che guadagniamo in risultati militari, lo perdiamo in sicurezza nazionale”. A suo parere sostituire Hamas con un’altra forza potrebbe condurre alla sua perpetuazione nel momento in cui Israele vede la sua economia in caduta libera, la sua immagine internazionale peggiorare e la sua resilienza interna logorarsi. Conclude: “Un’amministrazione militare è una buona soluzione militare, ma Gaza non è soltanto una questione militare.”

a cura di Hélène Colombani Giaufret

 10 total views,  10 views today