Il riarmo Stato per Stato è il nemico della difesa europea
Città della Spezia 6 aprile 2025
di Giorgio Pagano
Domenica scorsa “La Stampa” ha pubblicato un sondaggio di Euromedia sulle questioni belliche europee. La maggior parte degli italiani è favorevole all’invio di aiuti umanitari all’Ucraina (37,5%), ma è contraria a inviare truppe militari (solo il 5,8%) o a finanziare direttamente l’acquisto di armi (il 12,8%). Per il 60,2% della popolazione il negoziato diplomatico è la migliore soluzione per fermare la guerra; crede nel supporto militare l’8,3%; nelle sanzioni il 9,2%; nell’intervento diretto di altri Paesi il 6,2%. Il 94% è contraria al riarmo. Il giornalista Marcello Sorgi, commentando i dati sempre su “La Stampa”, è stato costretto, rammaricato, ad ammettere che “il Paese è in grande maggioranza contro la guerra: si tratta di un sentimento che ha radici storiche”.
Su questo Sorgi ha ragione. L’Italia pacifista ha una storia. Ieri, a Roma, quest’Italia ha dimostrato di esserci, più numerosa e decisa di sempre, nonostante il bombardamento mediatico. La manifestazione è stata indetta dal Movimento Cinque Stelle, ma era accogliente: c’era il popolo della pace, oltre e a prescindere dall’appartenenza al movimento guidato da Conte. Che lo ha capito e ha detto parole impensabili per il M5S di un tempo: “Grazie a chi è in piazza con idee diverse dalle nostre. Vi rispettiamo”. Dal palco hanno parlato lo storico Alessandro Barbero, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, e tanti altri. Soprattutto c’erano, in piazza, le associazioni, le famiglie, le donne e gli uomini semplici.
E’ un’Italia che viene da lontano. Pensiamo a Papa Giovanni XXIII e all’enciclica Pacem in Terris: il riarmo sembra inevitabile, ma il vero problema non è quello degli arsenali; dobbiamo disarmarci nello spirito. E’ l’anima del francescanesimo, che il Papa attuale incarna anche nel nome: lo spirito della pace costruttiva e del dialogo con il nemico. Chi parla tanto di “identità italiana” come fa a non capire quanto quest’anima sia radicata? E’ un anima che si è incontrata con il pacifismo laico di figure diverse tra loro, come Aldo Capitini o Norberto Bobbio, che scriveva che “il diritto può essere definito come l’ordinamento pacifico di un gruppo e dei rapporti di questo gruppo con tutti gli altri gruppi” e che “il concetto di diritto è strettamente congiunto con quello di pace” ed è “disgiunto da quello di guerra”. E’ il pacifismo di una sinistra la cui storia come è stata conosciuta finora è finita – erano i tempi in cui Palmiro Togliatti dialogava con i cattolici sul “destino dell’uomo” – ma che vive ancora nella frase più luminosa che ho incontrato nella mia vita: “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà”. E’ il verso della canzone di un anarchico, Pietro Gori. Tutte queste anime si sono riunite al tempo della Costituzione nel nome del “ripudio” della guerra.
Sarà davvero difficile trascinare il nostro Paese al riarmo, tanto più alla guerra. Il problema è se quest’Italia pacifista riuscirà a convincere l’Europa a invertire la sua rotta bellicista: è questo, ora, il suo compito.
Se la questione più importante al mondo oggi è la pace, in Ucraina, in Medio Oriente e in tutto il mondo, l’Europa non potrà prosperare o essere sicura finché non ci sarà la pace. Certamente l’Europa – se diventerà davvero unita – dovrà avere una capacità di difesa comune. Che non ha nulla a che fare con il piano riarmo, che è il vero nemico della difesa europea. Soprattutto l’Europa dovrà usare l’arsenale” della diplomazia. Se Trump lavora a una pace che non dà garanzie anche all’Ucraina, l’Europa non deve chiedere il proseguimento della guerra ma una pace meno ingiusta (paci giuste purtroppo non ce ne sono mai state). Se Trump mette i dazi la risposta non può essere quella di riarmarsi comprando le armi dagli Stati Uniti (che è quel che accadrebbe). Se Israele, sostenuto da Trump, vuole obbligare gli abitanti di Gaza a concentrarsi in campi che non si possono non chiamare di concentramento, per affamarli e costringerli a supplicare di andare via dal loro Paese, l’Europa non può ancora lasciar correre sui crimini contro l’umanità (che è quel che sta avvenendo). Abbiamo messo da parte Gaza, i media e i politici non parlano quasi più dei massacri di questi giorni, i più mostruosi – se possibile – di sempre perché diretti esclusivamente contro i civili. Ma è l’altra sponda del Mediterraneo! Come può esserci un’Europa solo atlantica, senza il Mediterraneo? Come si può salvare l’Europa senza salvare Gaza?
L’idea del riarmo Stato per Stato è, per usare le parole di Massimo Cacciari, “l’assurdità dell’assurdità”. La difesa europea non è il piano riarmo. Di più: senza unità politica il piano di riarmo disgregherà l’Unione. C’è un solo Stato europeo che può oggi estendere oltre misura il suo debito, ed è la Germania. Bisogna cercare di fermare la regressione tedesca. Si è conclusa la lunga epoca della sua socialdemocrazia, la cui storia potrà ripartire solo dalla distensione e dalla pace. Dall’esempio di un suo grande leader, Willy Brandt, che dopo anni di arroccamento antisovietico costruì la Ostpolitik, che sfociò nel 1973-1975 nella Conferenza sulla sicurezza europea di Helsinki: rispetto dei confini, soluzione pacifica dei conflitti, non ingerenza, difesa dei diritti umani.
Se nel 1991, quando furono sciolti l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia, avessimo proseguito in quella politica non saremmo a questo punto. La Russia, preoccupata dall’allargamento della Nato verso Est, ha reagito ed è diventata aggressore dell’Ucraina. Ma con la Russia dobbiamo tornare a dialogare. Dobbiamo proteggere i Paesi confinanti con la Russia ma anche le minoranze russe in quei Paesi, che sono assai consistenti. L’Europa, se unita, può farlo. La pace è possibile, con un nuovo quadro di sicurezza per tutti.
La pace è possibile perché le persone non vogliono la guerra. Uno studio americano pubblicato nei giorni scorsi ha rivelato che in Ucraina i giovani, da tempo, non si vogliono più arruolare. Se è difficile chiamare alle armi la popolazione di un Paese invaso, figuriamoci quella di altri Paesi. I disertori ci sono anche in Russia. E se c’è una speranza che il folle piano di Netanyahu non riesca, deriva dal fatto che il 70% degli israeliani non ha fiducia nel governo e che il governo esita a richiamare i riservisti, perché teme di ricevere troppi rifiuti. E sono tanti i palestinesi che, nonostante tutto, vogliono la pace.
La strada è lunga e piena di ostacoli ma l’umanità può farcela.
Chi è interessato al tema può leggere il mio articolo “Riprendere il percorso tracciato con l’Ostpolitik” pubblicato sulla rivista “Critica Sociale” e sul sito www.funzionarisenzafrontiere.org
Le fotografie di oggi sono state scattate a Santa Maria di Sal, Cabo Verde, Africa, nel 2020.
Giorgio Pagano
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