Promuovere la pace
Salute Internazionale, 11 aprile 2023
Pirous Fateh-Moghadam
Nel caso dell’Ucraina la difesa militare è senz’altro legittima, tuttavia questo non implica che sia per forza la migliore scelta nel contesto dato. La legittimità della guerra difensiva è sancita dalla Carta delle Nazioni Unite come prima reazione, temporanea, ad un’aggressione fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
La carta di Ottawa[1], a cui la comunità di sanità pubblica si ispira, cita “la pace” come il primo dei prerequisiti fondamentali per la salute. Seguono l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l’equità. Tutti fattori egualmente danneggiati e distrutti dalla guerra, con effetti che solitamente perdurano per decenni anche dopo la cessazione delle ostilità. La promozione della pace rappresenta quindi un compito professionale di sanità pubblica, oltre ad essere un obbligo per chiunque sia interessato alla convivenza civile nel presente e alla costruzione di un futuro clima-resiliente con salute e benessere per tutti.
Ma che cosa significa promuovere la pace? Sicuramente è più della sola opposizione alla guerra di turno, alla violenza fisica, attiva, personale e diretta in un contesto specifico. La guerra non scoppia all’improvviso dal nulla, ma rappresenta l’espressione acutizzata e personificata della violenza strutturale già insita nel militarismo, nell’imperialismo e in altri ambiti a livello politico, economico e sociale, fenomeni che vanno identificati, denunciati e contrastati se si vuole promuovere efficacemente la pace. Una volta in atto, la guerra innesca inoltre una serie di retroazioni che rafforzano a loro volta la violenza strutturale, comprese le ingiustizie sociali. Alla fine una forma di violenza tende a sfumare nell’altra, fino a impedire alle persone non solo la realizzazione del loro potenziale a livello sociale e umano, ma anche di soddisfare i loro bisogni basilari di sicurezza, di incolumità, di salute e benessere.
Le complesse relazioni tra le diverse forme di violenza possono essere riassunto nel motto “la guerra è decisa dai ricchi, ma viene combattuta dai poveri”. Howard Zinn osserva a proposito della guerra d’indipendenza degli Stati Uniti[2]: “l’esercito divenne un luogo di promesse per i poveri, che potevano salire di grado, guadagnare un po’ di soldi, cambiare il loro status sociale. Si tratta del tradizionale espediente con cui chi domina sull’ordine sociale riesce a mobilitare e disciplinare una popolazione recalcitrante: offrire l’avventura e le ricompense del servizio militare per indurre i poveri a combattere per una causa con la quale potrebbero non identificarsi veramente“. Un espediente messo alla prova molte volte con invariabile successo, non solo nella Russia di Putin. Nella guerra del Vietnam le reclute statunitensi, soprattutto di origine afro-americana e con basso livello di scolarità, erano attirate da promesse di benefici per il futuro (casa e istruzione universitaria). Le persone di basso ceto sociale e gli immigrati di prima o seconda generazione erano più a rischio di trovarsi impegnati anche in Iraq, specialmente nei reparti più esposti. Un’indagine sull’estrazione sociale dei soldati italiani impegnati a Nassiriya confermerebbe probabilmente l’esistenza, anche in Italia, della morsa nella quale si trovano di solito le classi sociali meno abbienti nei paesi bellicisti: da un lato la scarsità di prospettive economiche e sociali nel loro paese favorisce la loro adesione alle forze armate e, specialmente, a missioni pericolose e vantaggiose sotto il profilo economico e di carriera professionale. Dall’altro lato il militarismo e il modello economico su cui si basa sono tra i fattori che contribuiscono alla mancanza di risorse per incrementare la mobilità sociale, che è all’origine della relativa scarsità di prospettive al di fuori delle carriere militari.
Il drenaggio di risorse da parte militare è in effetti considerevole. Le spese militari sono da decenni in aumento e hanno sfondato il tetto dei 2.000 miliardi di dollari nel 2021[3]. Questa cifra è oltre 600 volte quella del budget annuale delle attività di mantenimento della pace (peacekeeping) delle Nazioni Unite (3,12 miliardi nel 2022)[4]. I cinque paesi che spendono di più nel militare sono, in ordine decrescente: Usa, Cina, India, Regno Unito e Russia. L’Italia si trova all’undicesimo posto, con 32 miliardi di dollari spesi nel 2021, il 4,6% in più rispetto all’anno precedente e il 9,8% in più rispetto al 2012. La spesa italiana del 2021 rappresenta l’1,5% del prodotto interno lordo, una percentuale destinata ad aumentare fino al 2%, obiettivo che si sono dati gli stati membri europei della Nato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che a sua volta aveva aumentato enormemente le spese militari a seguito dell’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 (un aumento del 72% dal 2014 al 2021 e del 142% dal 2012).
A partire dal 2022 l’Unione europea e gli Usa supportano l’Ucraina con diverse decine di miliardi di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari. Al 15 gennaio 2023 gli Stati Uniti hanno speso 44,3 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina in poco meno di un anno , circa 120 milioni di dollari al giorno (e 3,7 miliardi in aiuti umanitari, in altre parole per ogni dollaro speso per aiuti umanitari 12 dollari per armi)[5].
Per farsi un’idea sull’efficacia degli aiuti militari è istruttivo l’esempio della campagna militare che doveva assicurare la “libertà duratura” non solo all’Afghanistan, ma al mondo intero. L’operazione “enduring freedom” è iniziata nell’ottobre del 2001 con l’invasione dell’Afghanistan per spodestare i Talebani ed è terminata nel mese di agosto del 2021 con la riconsegna del potere ai Talebani. Il bilancio complessivo delle vittime di tale conflitto, stimato da ricercatori della Brown University, si aggira tra 897.000 e 929.000 e comprende i membri dell’esercito statunitense, i combattenti alleati, i combattenti dell’opposizione, i civili, i giornalisti e gli operatori umanitari morti per effetti diretti della guerra. Nella stima non sono incluse le numerose morti indirette che la guerra ha provocato a causa di malattie, sfollamenti e per altre cause[6].
A quale costo? Il Presidente Biden[7] aveva specificato nel 2021: “… more than $2 trillion spent in Afghanistan (…) – over $300 million a day for 20 years”. Di fronte a queste cifre si è tentati di concludere che quando si tratta di uccidere persone non ci sono limiti di spesa, mentre la disponibilità finanziaria del capitalismo si riduce al lumicino non appena si tratta di mantenerle in buona salute: la spesa sanitaria pro capite in Afghanistan nel 2019 era di 65 dollari[8]. Dopo 20 anni di sostegno così strutturato, nel 2021 l’Afghanistan si collocava al 180esimo posto sui 191 paesi del mondo nella graduatoria dell’indice di sviluppo umano[9], cinque posizioni più in basso rispetto al 2015. L’aspettativa di vita alla nascita è di 62 anni, la frequenza scolastica media è di 3 anni (2,3 anni per le ragazze e 3,4 anni per i ragazzi).
E come se non bastasse, a chi fugge da questo disastro viene impedito l’ingresso in Europa, esponendo i profughi al pericolo di finire in campi di detenzione disumani e di annegare nel Mediterraneo.
Di fronte ai fallimenti delle opzioni militari, tanto colossali quanto evidenti, ci si chiede come sia possibile che buona parte dell’opinione pubblica rimanga ancora del parere secondo cui chi si oppone alla guerra mancherebbe di realismo, mentre chi opta per il sostegno a interventi militari, avrebbe il coraggio di guardare la realtà in faccia scegliendo gli unici mezzi efficaci a disposizione.
Nel caso dell’Ucraina la difesa militare è senz’altro legittima, tuttavia questo non implica che sia per forza la migliore scelta nel contesto dato. In secondo luogo la legittimità della guerra difensiva è sancita dalla Carta delle Nazioni Unite (Capitolo VII, Art. 51 come prima reazione, temporanea, ad un’aggressione fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Siamo invece ormai di fronte a una guerra che viene definita di “logoramento”, e che, secondo gli esperti militari, durerà ancora a lungo, tanto da suscitare sempre più frequentemente paragoni con la Prima guerra mondiale. Dopo oltre 14 mesi di conflitto è innegabile che si tratta in ogni caso di una guerra difensiva che deforma, mutila e uccide i difensori insieme a ciò che difendono, con effetti che vanno oltre i limiti del conflitto, sia dal punto di vista geografico che temporale. La responsabilità primaria della situazione va chiaramente attribuita all’aggressore, ma questo non può consolare nessuno di fronte alla distruzione ad oltranza di vite ed ambiente, per non parlare della minaccia di uno sterminio atomico. Inoltre la guerra impedisce non solo la promozione della salute, ma anche lo stesso esercizio della libertà e la partecipazione democratica che si prefigge di difendere. Democrazia e libertà possono essere difese meglio e con meno danni attraverso azioni alternative alla guerra: una valutazione che mette a confronto campagne di resistenza non-violenta con quelle violente dal 1900 al 2006 dimostra, per esempio, che le campagne non violente hanno avuto successo nel 53% dei casi, rispetto al 26% delle campagne di resistenza violenta[10].
Per contro, salute e benessere non possono essere difese in un contesto bellico, come già sapevano gli estensori della Carta di Ottawa. Sta quindi alla comunità di sanità pubblica agire in coerenza con i propri principi e con quelli della Costituzione e sottolineare, a politici e opinione pubblica, l’urgenza di mobilitarsi, a tutti i livelli e seriamente, per la pace, appoggiando l’impiego di mezzi che non sono in contraddizione con il fine dichiarato.
[1] WHO, The Ottawa Charter for Health Promotion (1986), https://www.who.int/teams/health-promotion/enhanced-wellbeing/first-global-conference
[2] Howard Zinn, A People’s History of the United States, Harper Perennial, 2005, pagina 78
[3] Trends in Military Expenditure, 2021, SIPRI Fact Sheet April 2022, https://www.sipri.org/sites/default/files/2022-04/fs_2204_milex_2021_0.pdf
[4] Il bilancio regolare e quello per il mantenimento della pace dell’ONU sono approvati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per il 2022, il bilancio ordinario ammonta a 3,12 miliardi di dollari. https://betterworldcampaign.org/resources/briefing-book-2022/united-nations-budget
[5] Per aggiornamenti sull’entità degli aiuti si veda: https://www.ifw-kiel.de/topics/war-against-ukraine/ukraine-support-tracker
[6] https://www.brown.edu/news/2021-09-01/costsofwar
[7] https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2021/08/31/remarks-by-presid ent-biden-on-the-end-of-the-war-in-afghanistan/
[8] https://data.worldbank.org/indicator/SH.XPD.CHEX.PC.CD
[9]United Nations, https://hdr.undp.org/system/files/documents/global-report-document/hdr2021-22pdf_1.pdf
[10]Palik, Júlia; Anna Marie Obermeier & Siri Aas Rustad (2022) Conflict Trends: A Global Overview, 1946–2021, PRIO Paper. Oslo: PRIO. https://www.prio.org/publications/13178
(Pirous Fateh-Moghadam, Osservatorio epidemiologico, Azienda provinciale per i servizi sanitari, Trento)
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