Il grido della pace
Città della Spezia, 6 novembre 2022
di Giorgio Pagano
UN SUSSULTO CHE NASCE DAL BASSO
Scrivo di ritorno da Roma, dove si è tenuta la manifestazione per la pace della coalizione “Europe for Peace”: oltre 600 associazioni che hanno chiesto a gran voce il cessate il fuoco in Ucraina, il negoziato subito, la Conferenza internazionale di pace. Erano tanti anni che non andavo a una manifestazione nazionale: forse non ce ne sono più state, probabilmente ero io che non avevo le motivazioni per andare. Ma questa volta è stato diverso: c’era proprio bisogno di lanciare un grido per la pace e di rilanciare la partecipazione popolare in una fase in cui rischia di prevalere la rassegnazione.
Eravamo più di centomila, in corteo da piazza della Repubblica a piazza San Giovanni. Donne e uomini, studenti, operai, scouts, attivisti sociali, cooperanti delle Ong, ragazze e ragazzi in servizio civile, religiosi e religiose, pensionati, migranti, operatori di pace che hanno a cuore un’unica cosa: che la guerra in Ucraina, e le guerre in tutte il mondo, finiscano al più presto. La CGIL era il cuore del corteo, insieme ai cattolici, le ACLI e la Comunità di Sant’Egidio in primis. Nessuna bandiera di partito: c’erano il popolo dei Cinque Stelle e quello di una sinistra mai così in crisi, e anche una parte di quello del Pd, sparpagliati in mezzo a un più vasto popolo multicolore. Quello che più colpiva era la presenza di una miriade di piccole associazioni, magari con una decina di partecipanti o poco più, che sfilavano con i loro striscioni e cartelli: davvero centinaia, provenienti da tutta Italia. Gli spezzini, in buona parte arrivati in treno con la CGIL, erano tanti. Lo striscione che portavo con altri -“Mai più la guerra”, sopra la scritta “Tutte le guerre passano dai porti”, sotto “La guerra comincia a La Spezia”- è stato tra i più fotografati e filmati.
La marea arcobaleno della pace si sta alzando in tutta Italia, sempre più vigorosa ogni giorno che passa. E’ un sussulto che nasce dal basso e comincia a incidere sulle classi dirigenti.
Sabato scorso ero a Luni. In più di duecento abbiamo marciato nella pista ciclo-pedonale lungo il Canale Lunense, una parte proveniente da Luni, una parte da Castelnuovo. La mia amica Chiara Castagna mi ha raccontato come è nata l’iniziativa: “Tutto è partito dall’Auser, ci siamo riuniti e abbiamo lanciato la proposta, subito fatta propria dall’ANPI. Poi abbiamo coinvolto i castelnovesi, l’idea di incontrarci lungo il percorso tra i due paesi simboleggia la speranza dell’intesa tra popoli diversi. Insieme abbiamo chiesto l’adesione ai due Comuni, alle parrocchie, alle scuole, a tutte le associazioni del territorio. Le donne si sono prodigate per lo striscione, fatto all’uncinetto. La politica si fa dal basso, se interpreti i sentimenti delle persone c’è una risposta, se fai discorsi vuoti non ti stanno nemmeno a sentire. Le donne sono più in grado di dar voce al sentimento di pace. E’ stato un esserci, in preparazione alla manifestazione di Roma”. Le mamme dei due paesi c’erano tutte, con i loro figli più piccoli. Insieme ai ragazzi più grandi, agli amministratori, ai parroci, agli attivisti, ai pensionati.
L’ENORME PERICOLO DELLA “DURA PIOGGIA”
La molla della partecipazione è stata la consapevolezza che il conflitto in Ucraina sta virando verso un’escalation incontrollabile. Che ci stiamo avvicinando alla guerra nucleare. Entrambe le parti ne parlano e considerano la situazione attuale inevitabile. Che nessuno in Occidente discute di negoziati. Insomma: che siamo in enorme pericolo, come non mai da molti decenni.
A tanti, in queste settimane, è venuta in mente la crisi di Cuba del 1962, esattamente sessant’anni fa. L’ho vissuta da bambino, ne ho scritto nel mio libro sugli anni Sessanta. Il mondo stava attaccato alla radio per sentire i notiziari, si passavano nottate in bianco con l’incubo della guerra nucleare. Ci salvammo grazie alla saggezza, alla fine, sia di Kennedy che di Kruscev. La ricerca storica ha raccontato un episodio, quello in cui un sommergibile russo fu sul punto di lanciare una testata nucleare contro una nave americana che voleva costringerlo ad emergere, nelle acque dei Caraibi. Fu l’allora vicepresidente americano Lyndon Johnson a insistere perché la Marina non creasse l’incidente, proprio quando il capitano del sommergibile sovietico aveva già ordinato di prepararsi al lancio. Questa volta saremo fortunati come allora? C’è, oggi, nel governo russo e in quello USA, la saggezza necessaria? Non lo sappiamo. E’ lecito dubitarne.
Certo, è difficile aver paura come allora. Non perché non ce ne siano le ragioni, anzi. Ma perché la paura è la condizione naturale del nostro tempo, perché ci siamo abituati a convivere con tanti orrori. Eppure quelli attuali potrebbero essere gli ultimi giorni dell’umanità. Allora se ne resero conto anche i cineasti e i musicisti. Il ventenne Bob Dylan compose “A Hard Rain’s A-Gonna Fall”: “E cosa hai sentito figlio mio dagli occhi azzurri? E cosa hai sentito figlio adorato? / Ho sentito il fragore di un tuono e il suo rombo era un monito/ Ho sentito il ruggito di un’onda che potrebbe affogare il mondo intero […] Ed è una dura, dura, dura pioggia quella che cadrà”. Oggi la paura di quella pioggia sta tornando, nonostante l’assuefazione. Non a caso la canzone di Dylan era nella colonna sonora della manifestazione di ieri. Davanti a noi spezzini c’era un registratore ad alto volume, dietro di noi tre ragazzi con la chitarra: le canzoni erano quelle degli anni Sessanta, da quella di Dylan a “We Shall Overcome”, da “Dio è morto” a “Girotondo”.
CHI VUOLE LA PACE E’ MOSSO SOLO DAL BUON SENSO
Siamo in una guerra per procura: USA contro Russia. Gli USA dicono che l’Ucraina farà parte della sfera d’influenza americana, che entrerà nella NATO. La Russia dice che non lo permetterà mai. Gli europei stanno zitti, allineati a Biden e alla NATO.
Di Putin non ho mai avuto fiducia. Di Biden e della Von der Leyen sì, all’inizio. Ho apprezzato i loro segnali di svolta nella politica economica e ambientale. Ma ora la delusione è profonda. Né l’uno né l’altra fanno nulla per la pace. Mentre la guerra riporta le diseguaglianze sociali e le fonti fossili contro cui entrambi sembravano battersi.
C’è una sostanziale irresponsabilità della comunità internazionale. L’ONU è assente. Bisognerebbe che il suo Consiglio di sicurezza, ha detto l’economista americano Jeffrey Sachs, “facesse come il conclave vaticano: chiudersi in una stanza e non uscire fino alla fumata bianca”. “Tutti devono dire -ha proseguito Sachs- che le radici di questa guerra risiedono in terribili errori commessi da entrambi le parti, che vanno risolti con il compromesso”.
Il crimine della Russia è stato l’invasione. Ma non si può pensare che la soluzione sia la sottrazione della Crimea alla Russia o la destituzione di Putin. Putin, piuttosto che una simile disfatta, farebbe uso di qualsiasi arma. Quanto sangue si vuole ancora versare?
Come ha detto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, “si combatte una guerra senza prospettiva”, senza che si veda chi possa vincerla o perderla. Il rischio è l’eternizzazione della guerra, come in Siria, dove la pace si chiama guerra. Con la differenza che in Ucraina i belligeranti hanno le armi nucleari. La prospettiva devono costruirla tutti: russi e ucraini, americani, cinesi, europei. Certo, gli europei: Biden ha tutto l’interesse a una guerra che dissangua la Russia e danneggia soltanto l’Europa. Ma l’Europa ha tutto l’interesse a far cambiare idea a Biden. Il cinismo della sua classe dirigente è una vergogna per l’Europa. Come ha detto lo storico Giuseppe Vacca:
“La posta in gioco principale non è l’Ucraina, ma il futuro della Nato, che vuole dividere la Russia dall’Europa e armare i Paesi europei a condizione della loro fedeltà atlantica, ovvero l’esatto contrario dei padri fondatori, che pensavano a un’Europa come potenza a sé stante”.
Quand’è che gli europei torneranno ad essere europei?
Bisogna cessare il fuoco, cominciare a parlare. C’è un aggressore e un aggredito, ma non si può dire “col nemico non si tratta”. Le guerre si sono sempre concluse trattando con il nemico. O con la disfatta del nemico: ma in questo caso il nemico ha la bomba atomica.
Sono arrivato in piazza San Giovanni senza poter entrare, perché era troppo piena. Da lontano ho sentito gli ultimi due interventi, quello di Riccardi e quello di Maurizio Landini, segretario della CGIL. In polemica con chi ha criticato la manifestazione. Landini ha detto:
“Non hanno capito assolutamente nulla, non siamo equidistanti, siamo contro chi ha voluto questa guerra e difendiamo il popolo ucraino. Ma dopo otto mesi se non riparte la diplomazia rischiamo una guerra nucleare”.
Essere per la pace non significa essere contro l’Ucraina. Essere per la pace non significa essere per la Russia. Chi vuole la pace è mosso solo dal buon senso. Pensare che si possa “vincere la guerra” è completamente illusorio. L’Europa deve tornare alla sua ispirazione originaria: avere non una politica della guerra che insegue Putin sul suo terreno, ma una politica della pace che spinga Putin e tutti verso la ricerca delle soluzioni possibili.
Non servono i tifosi, e il negoziato non è una resa. Nella guerra gli Stati danno il peggio di sé, nella diplomazia il meglio. Chi sostiene che il negoziato è una resa, non sa cosa significa negoziare: è la ricerca di un compromesso, “una terra promessa per le parti che fa risorgere dentro di loro la speranza di futuro”, ha scritto Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio.
Serve un altro pensiero, ispirato al discorso dell’Angelus di papa Francesco. Riccardi ha concluso il suo intervento rilanciando l’appello del papa per una “vera trattativa”: “La pace non è debolezza, la pace è di tutti: siate audaci”.
OLTRE IL GRIDO, IL CAMMINO PROSEGUIRA’
Certamente il grido della pace non basta. Ora il cammino proseguirà.
Un folto gruppo di ex diplomatici italiani ha suggerito come:
“Primo obiettivo è il cessate il fuoco e l’avvio immediato di negoziati al fine di pervenire: 1) al simmetrico ritiro delle truppe e delle sanzioni; 2) alla definizione della neutralità dell’Ucraina sotto tutela dell’ONU; 3) allo svolgimento di referendum gestiti da Autorità internazionali nei territori contesi. Una Conferenza sulla Sicurezza in Europa sarà, infine, lo strumento del ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei”.
Sono proposte molto sagge, che vanno discusse.
La cultura pacifista deve diventare un fermento. Nessuno ha la soluzione in tasca. Gesù, della strada della pace, direbbe: “E’ il lavoro del lievito nella pasta”.
Dopo piazza San Giovanni il cammino sarà difficile, di avvicinamento reciproco. La pace “è impura”, non si fa con i puri.
L’Europa sarà decisiva. Piazza San Giovanni deve dilagare in tutta Europa, costringere i governi europei a volere la pace.
Anche a Spezia il cammino proseguirà. Nel convegno tenutosi il 22 ottobre scorso si è discusso di come sottrarre i porti all’abbraccio delle armi e di come riconvertire l’industria armiera. Maurizio Landini, ieri, ha detto: “Bisogna ridurre e superare gli investimenti nelle armi”. Proseguiremo a camminare, ognuno dal suo punto di vista, facendo passi per incontrarci. L’importante è la direzione.
Post scriptum
Dedico l’articolo di oggi ad Aldo Insignito, militante e dirigente della CGIL spezzina, che ci ha lasciati qualche settimana fa. Era impegnato, fin dal 1965, nel settore della sanità, a difesa della sanità pubblica, a fianco dei più deboli. Con grande umanità e passione. In “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” ha raccontato la sua gioventù. Il primo libro che acquistò fu proprio un libro su Cuba, dopo la crisi del 1962. Il suo primo impegno fu proprio per la pace, nel 1965, contro i bombardamenti americani in Vietnam. Tutta la sua vita è stata coerente con gli ideali di allora.
lucidellacitta2011@gmail.com
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