La guerra e la paura del futuro, a due anni dal Covid-19
Città della Spezia, 27 febbraio 2022
di Giorgio Pagano
Il secondo anniversario del Covid-19 è trascorso proprio nei giorni in cui la Russia stava per invadere l’Ucraina. Ieri, alla manifestazione per la Pace in piazza Mentana, un ragazzo mi ha parlato dello shock della sua prima guerra vissuta in diretta: “Stavamo uscendo dall’emergenza pandemia e siamo finiti dentro l’emergenza guerra. È terribile. Ma cosa ci stanno a fare i governi e se non riescono a trovare compromessi?”.
Ascoltandolo ho ripensato agli ultimi due anni. Alla primavera del 2020, quando la pandemia costringeva le persone a stare in casa. Si celebrò allora quel rito collettivo, durante il quale tutti si affacciarono alle finestre e ai balconi delle case per cantare insieme la voglia di una rinascita. Ma quella gioiosa manifestazione di solidarietà di specie durò solo un breve arco di tempo. Fu un attimo di bellezza civile. Certamente, da allora, anche la società è regredita: un’altra malattia, l’indifferenza a ciò che accade fuori di noi, ci ha a poco a poco contagiato. Ma ciò è successo perché i nostri governanti nulla hanno fatto per raccogliere quella invocazione.
Le reazioni dei governanti di quasi tutto il Pianeta sono state improntate a una sorta di “si salvi chi può”. Furono adottate misure per la protezione esclusiva dei cittadini di ogni Paese. Un’ambizione completamente inutile: non si può vincere una minaccia globale senza azioni globali.
Il virus ci ha disvelato che gli equilibri della biosfera sono minacciati e danneggiati irreversibilmente dall’aggressività e voracità umane. Un filo solidissimo lega il Covid-19 ai cambiamenti climatici e alla grande sfida globale di evitare che essi raggiungano un punto tale da travolgerci. Le malattie infettive dovute a microbi che hanno fatto un “salto di specie” sono sempre state una costante nella storia dell’umanità. Ma oggi la devastazione della natura ad opera dell’uomo le alimenta a dismisura. Lo spiega nel suo ultimo libro Barbara Gallavotti, scrittrice e divulgatrice scientifica: “Ogni contatto con un animale selvatico potenzialmente in grado di trasmetterci un agente infettivo pericoloso è sempre equivalso a premere il grilletto in una roulette russa: spesso va bene e non succede nulla, ma ogni tanto il colpo parte. E negli ultimi decenni, penetrando sempre più spesso in profondità negli ambienti naturali e moltiplicando le nostre occasioni di contatto con specie dalle quali avremmo dovuto restare divisi, non abbiamo fatto altro che premere il grilletto in troppi e a un ritmo serratissimo”.
Eppure il fallimento della conferenza di Glasgow insegna che non abbiamo compreso questa sfida globale. Che cos’altro significa l’approvazione europea di gas fossile e nucleare nell’elenco delle energie “sostenibili” se non la resa incondizionata al destino della catastrofe climatica? Mentre il rincaro delle bollette energetiche ci fa sentire l’urgenza di disporre di quelle fonti di energia alternativa che sono state ostacolate in tutti questi anni.
A proposito di sfide globali: siamo stati disastrosi anche nella giustizia sociale. La gran parte della popolazione mondiale è stata relegata ai margini delle campagne di vaccinazione, che hanno invece potuto procedere con il vento in poppa nei luoghi più fortunati. Una disparità che rischia di dare un enorme vantaggio al virus, e di non farci uscire mai dall’emergenza.
Allunghiamo ancora lo sguardo verso il Sud del mondo, non limitandoci ai vaccini. Il paesaggio è drammatico: guerre, fame, carestie, desertificazione e alluvioni a causa della catastrofe climatica, che in quei Paesi è già cominciata. E bambini che muoiono per fame. Perché facciamo soffrire i bambini? Se lo è chiesto il Papa in Tv, senza saper rispondere.
Ma la questione delle diseguaglianze non riguarda solo il Sud del mondo. E’ anche nel cuore del nostro mondo. Un altro grande effetto del Covid-19 è che una parte dell’Italia e dell’Occidente è più povera, mentre un’altra è più ricca. Mentre si sono approfonditi e aggravati quei processi di disarticolazione sociale che rendono le diseguaglianze senza voce e rappresentanza.
C’è poi un altro grande effetto ancora: “la società a distanza”, la dematerializzazione dei rapporti umani, la rottura dei legami di condivisione. La studiosa inglese Noreena Hertz ha intitolato il suo ultimo libro “Il secolo della solitudine”. Anche in questo caso si sono approfondite e aggravate tendenze precedenti. Sempre una donna, la filosofa Hannah Arendt, scriveva nelle “Origini del totalitarismo” che l’essenza di quest’ultimo era “la solitudine, una delle esperienze più disperate e radicate di un uomo”.
Ascoltando quel ragazzo ho pensato alla sua, nostra, paura del futuro. E a come questa paura si alimenti oggi anche della tragedia della guerra. Ne ho scritto ieri in questo giornale (“La Pace, l’ideale più grande per cui vale lottare e credere”). Alla sera ho incontrato per caso Andrea Orlando, abbiamo scambiato poche parole. Anzi, abbiamo pronunciato le stesse parole: “Una tragedia, soprattutto una tragedia europea”. Certamente una tragedia globale, ma meno per gli Stati Uniti, per la Cina, per il resto del mondo. Una tragedia soprattutto per l’Europa, e per la Russia, che è Europa. Sta agli europei, e ai russi, trovare una via d’uscita. Pena un tramonto comune. Spetta anche al popolo russo, un grande popolo di cui ho conosciuto la generosità, che non può essere rappresentato da Putin e dal nazionalismo criminale che viola il diritto internazionale. E’ significativo che in questi giorni, in Russia, ci siano proteste, e non manifestazioni di fervore nazionalistico. Occorre fermare la guerra e prospettare una soluzione politica che affronti il tema della sicurezza dell’Ucraina e della Russia. Le tante piazze di ieri per la Pace ci dicono che c’è ancora bellezza civile in questo mondo: una comunità che resiste e può incidere sui governanti.
lucidellacitta2011@gmail.com
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